Vite migranti – «E’ in Italia che ho conosciuto davvero l’Islam» - Diritto di critica
«Qui, in un paese straniero, ho capito per la prima volta cosa significa sentire il bisogno di pregare. Le difficoltà permettono di sentire Dio vicino e di vedere in ogni conquista un suo aiuto che permette di andare avanti. La mia religione, l’Islam, l’ho conosciuta meglio in Italia che in Marocco ed è in Italia che ho preso la decisione di indossare il velo». Mentre parla, seduta nel salotto di casa, Yacine è vestita all’occidentale, con un paio di jeans ed una maglietta chiara, ma quando esce indossa l’hijab, il velo che le copre i capelli: ha iniziato a metterlo solo da qualche anno a questa parte. «E’ stata una mia scelta. Il velo mi protegge: è una forma di rispetto per me stessa prima che verso mio marito. Molte donne italiane questo non lo capiscono: all’inizio ti considerano solo una musulmana ignorante costretta dall’uomo a coprirti i capelli. Poi, quando iniziano a conoscerti, non importa più cosa indossi».
Yacine ha 37 anni ed è originaria di Casablanca, ma abita in una cittadina in provincia di Bergamo. La sua storia è simile a quella di molte sue connazionali residenti nel paese: il marito era arrivato qualche anno prima per cercare lavoro ed aveva trovato un posto come manovale in una ditta edile locale. Una volta ottenuta una certa sicurezza, aveva chiesto alla moglie di raggiungerlo. «Per me non è stata una decisione difficile, – sorride Yacine – fin da piccola sognavo di viaggiare e vedere paesi nuovi. E’ vero, in Marocco avevo tutto ma ho scelto comunque raggiungere mio marito in Italia. Spesso mi si chiede perché – continua- ed io rispondo sempre che ogni persona ha il diritto di voler migliorare la sua vita: io ho cercato nuove prospettive all’estero».
Aveva 26 anni ed un diploma di ragioneria in mano quando è arrivata in Italia: prima era stata tre anni in Francia per seguire un corso di contabilità. «Molte donne marocchine in Italia, soprattutto quelle più anziane, – spiega – non cercano lavoro: stanno in casa e vivono per la propria famiglia. All’inizio ci ho provato, ma è stata dura: ero abituata a studiare, pensare, relazionarmi con le persone. La vita da casalinga non faceva per me, tanto più che mio marito era occupato tutto il giorno per via del lavoro: sentivo troppo la solitudine». Finora ha lavorato come baby-sitter, aiuto-cuoco e in un hotel e da poco ha presentato la domanda d’iscrizione al corso per diventare operatrice socio-sanitaria: nel futuro vorrebbe seguire delle lezioni serali per imparare l’inglese e l’utilizzo del computer, con il quale non si è mai cimentata. «Il cervello deve essere tenuto allenato – spiega – e più cose si imparano più è facile integrarsi».
L’italiano non ha rappresentato un ostacolo, perché è una lingua molto simile al francese e perché Yacine ha subito comprato dei libri per esercitarsi. «Quando si arriva in un paese straniero – racconta – bisogna ricominciare da zero. Se si vuole ottenere qualcosa, ci si deve impegnare quotidianamente, sforzandosi di imparare la lingua locale e svolgendo magari lavori che non piacciono molto. L’importante è non restare fermi su se stessi».
La nostalgia per i parenti è stata la prima difficoltà da superare: proveniente da una famiglia numerosa, con tre sorelle e due fratelli, era abituata ad avere attorno molta gente. In Italia invece si è trovata a doversela cavare da sola, in un paese straniero dove non conosceva nessuno. «All’inizio mi dicevo che sarei tornata a casa, in Marocco. Poi sono arrivate le bambine ed è cambiato tutto: grazie a loro, nate qui, anche la mia vita è diventata più ‘italiana’. Mi piacerebbe però – aggiunge – che le mie figlie, una volta cresciute, tornassero a visitare il loro paese d’origine».
Le figlie di Yacine, Maria di 9 anni e Selma di 6, si sentono in tutto e per tutto italiane: nate e cresciute in Italia, capita spesso che aiutino con i compiti e con la lingua altri bambini originari del Marocco che fanno più fatica. Yacine non ha dubbi sull’importanza dello studio: «è importante conoscere, informarsi e soprattutto studiare le lingue, così si possono capire meglio anche le altre persone. Io parlavo il francese e l’arabo e ho imparato anche l’italiano, mentre le mie figlie sanno l’arabo e l’italiano. Chissà che in futuro non possano studiare anche l’inglese o lo spagnolo. Vorrei che facessero molte esperienze nella loro vita, dato che ne hanno la possibilità».
Alla domanda su come sia la sua vita in Italia, Yacine risponde senza la minima esitazione. «Mi sono sempre trovata bene in Italia, molto meglio che in Francia. Gli italiani capiscono i problemi della gente e sono disponibili con gli stranieri. Non mi interesso di politica, ma so che l’integrazione dipende da che persona sei: se rispetti la gente, la gente rispetta te. Devi dimostrare di non essere una persona ignorante, ma gentile, istruita e disposta ad imparare le tradizioni altrui».
Nessun tipo di pregiudizio, dunque? «All’inizio ne avevo io: pensavo che il mio essere musulmana non sarebbe mai stato capito da un ambiente strettamente cattolico. Adesso dico che in realtà cambia solo il modo di pregare un dio che è sempre lo stesso: sono diversi i nomi, le parole, le lingue, ma i valori in cui si crede sono identici».