Al Jazeera: in diretta dall'Egitto ma solo sul web - Diritto di critica
C’era una volta la CNN. La guerra in diretta tv e quei raid aerei che tenevano incollati davanti al teleschermo milioni di attoniti spettatori. Sono passati 20 anni dalla Guerra del Golfo, cambia il mondo, cambiano i media, mutano i conflitti: da Baghdad al Cairo, da un canale televisivo statunitense all’edizione on line di un’emittente del Qatar. E le immagini si spostano dalla tv alla rete. Più di un milione gli utenti che hanno seguito negli ultimi giorni la programmazione di Al Jazeera English tramite l’aggregatore Livestation.com. Altrettanto significative le visualizzazioni del portale ufficiale, in particolare considerando che il 45% di queste proviene dagli Stati Uniti.
La guerra è ancora in diretta, ma le dinamiche di esclusività e racconto sono state sovvertite. La tv del Qatar si riconferma leader di copertura dei conflitti nordafricani, unica fonte in grado di fornire una documentazione costante e in tempo reale. La protesta va in onda nelle strade, a ridosso dei palazzi del potere. Al Jazeera coglie le motivazioni degli insorti, talvolta li giustifica, li sostiene, accusata di evidente partigianeria dagli osservatori internazionali. Servizi, talk show per denunciare la presenza di forze occidentali che da decenni condizionano la storia di questi paesi.
Ma l’Egitto non è l’Afghanistan: lontano dalle roccaforti islamiche, impenetrabili ai media occidentali, più facile è e sarebbe stato in questo caso guardare alla protesta da ovest. Eppure non c’è stata partita: Al Jazeera ha vinto su tutti i fronti. Lo dimostrano i numeri, lo dimostrano le immagini piovute quotidianamente in diretta streaming. La chiave? Il web.
Una protesta, quella egiziana, è nata e cresciuta con il costante supporto della rete. In particolare dei social network, Facebook in primo luogo, oltre ad Al Jazeera. Gruppi di sostegno che hanno favorito la partecipazione attiva degli utenti a quanto stava avvenendo nelle strade del Cairo. “We are all Khald Said” è questo il nome di uno dei gruppi che ha promosso le lotte di questi giorni. La pagina è diventata una delle principali fonti di informazione con aggiornamenti costanti sugli accadimenti nel Paese delle piramidi: immagini, commenti e una lista di server che consentono agli egiziani di aggirare la censura imposta dal governo.
Al Jazeera ha vinto così, puntando sul web, con un edizione on line tra le più curate della rete. Una scelta quasi obbligata nel lontano 2006 quando gli operatori televisivi statunitensi chiusero le porte a quello che, l’allora segretario alla difesa Donald Rumsfeld, aveva definito “Il network del terrore”. L’emittente del Qatar, esclusa dalle trasmissioni via cavo, aveva dovuto così ripiegare sul web, realizzando un canale che esperti del settore ritenevano “il miglior canale Tv che non si può vedere in Tv”. Lo streaming è diventato così il suo indiscusso cavallo vincente, quello che in più occasioni ha fatto la differenza. Ad arricchire l’offerta, sfruttando le potenzialità della piattaforma, anche la licenza per Creative Commons, ovvero la possibilità per gli utenti di acquisire e rimontare alcune immagini, quali ad esempio quelle provenienti dalla Striscia di Gaza.
C’è partigianeria? C’è latente volontà di screditare le istituzioni occidentali? Gli esperti dicono di sì. In Egitto la reazione del governo è arrivata con la chiusura degli uffici dell’emittente al Cairo e con l’arresto di sei giornalisti. Ma è nella controversia del suo ruolo che Al Jazeera matura l’inedita capacità di raccontare la guerra in diretta, attraverso immagini che si rincorrono tra le finestre di un computer, tenendo incollati allo schermo milioni di attoniti utenti. È la magia dello streaming; una tv che l’Occidente dovrebbe iniziare a guardare per imparare.
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