Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 22, 2024

Scroll to top

Top

Misteri d’Italia: presto riesumato De Pedis, boss della banda della Magliana - Diritto di critica

Misteri d’Italia: presto riesumato De Pedis, boss della banda della Magliana

Meno di un mese ed un nuovo capitolo potrebbe aprirsi sull’inquietante vicenda di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana sequestrata in circostanze misteriose il 22 giugno del 1983 all’età di 15 anni. Gli inquirenti sembrano orientati ad aprire il sepolcro dove riposa il boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, nella basilica di Sant’Apollinare a Roma.

Entro metà febbraio, quindi, sarà esumato il cadavere di uno dei capi storici della gang capitolina “per verificare la sussistenza di un elemento concreto già agli atti in seguito alle testimonianze di persone vicine a De Pedis, che potrebbero dare impulso alle indagini”. Tradotto significa che gli investigatori vogliono verificare se vi siano tracce di dna all’interno della tomba riconducibili ad Emanuela Orlandi e Mirella Gregori (altra ragazza scomparsa, lei cittadina italiana, il 7 maggio del 1983).

Nei mesi scorsi, infatti, era stato prelevato il profilo genetico dei familiari delle due ragazze. Gli inquirenti, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed il sostituto Simona Maisto, sono convinti ci sia un collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e quella di Mirella Gregori. Inoltre Enrico De Pedis, detto ‘Renatino’, sarebbe stato, secondo gli investigatori, la mente in grado di pianificare il sequestro della cittadina vaticana. Ipotesi suffragata dalle dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna del boss dei ‘testaccini’.

Una versione, quella del coinvolgimento di Renatino nel sequestro – Orlandi, che era stata esplicitata anche da una telefonata giunta alla redazione di ‘Chi l’ha visto’, nella quale Carlo Alberto De Tomasi (figlio di Giuseppe De Tomasi, identificato come quel ‘Mario’ che telefonò alla famiglia Orlandi pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela) diceva: “Se volete saperne di più su Emanuela Orlandi, guardate nella tomba di De Pedis”.

Fino a pochi mesi fa la procura non aveva dato importanza a questa breve testimonianza, ma ora gli inquirenti stanno prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di appurare chi e cosa sia sepolto nel loculo di De Pedis. A nulla è servito il via libera del Vicariato di Roma che, nei mesi scorsi, aveva fatto recapitare ai pm la propria disponibilità. La basilica di Sant’Apollinare, nella cui cripta sarebbe sepolto il boss, non è territorio vaticano. L’autorità giudiziaria può aprire la tomba anche senza il consenso della famiglia di De Pedis che, in ogni caso, si è sempre dichiarata favorevole.

Ipotesi fantasiose fanno pensare ad un’improbabile sepoltura proprio di Emanuela Orlandi, ma la sorella Natalina esclude questa eventualità: “Noi aspettiamo i fatti. Non ho mai pensato che Emanuela possa essere nella tomba di De Pedis. Certo, come cattolica pensare che un boss della malavita possa riposare in una basilica, non fa piacere”. E proprio la sepoltura di Renatino a Sant’Apollinare, un privilegio concesso di solito a eminenti personalità religiose (cardinali, vescovi, dottori della chiesa), lascia qualche perplessità e qualche interrogativo aperto.

La parabola ascendente del boss della banda della Magliana inizia molto presto. Fu uno dei fondatori del sodalizio criminale nella capitale insieme a Franco Giuseppucci (‘er Fornaretto’), Maurizio Abbatino (‘Crispino’) ed altri malviventi. Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana. Dopo il primo lavoro, il sequestro e l’uccisione del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, Giuseppucci e De Pedis estesero la propria influenza sulla capitale e si unirono ad altri gruppi, uno del quartiere Tufello (con a capo Gianfranco Urbani detto ‘er pantera’), uno di Ostia (con a capo Nicolino Selis, che aveva forti legami con la camorra) e con i ‘Testaccini’, un violento gruppo comandato da Danilo Abbruciati, detto ‘er camaleonte’.

Vittima delle faide scoppiate in seno alla banda della Magliana (l’organizzazione criminale era formata da diverse bande) fu Francesco Giuseppucci, ucciso a Piazza San Cosimato a Roma, il 13 settembre del 1980 a colpi di pistola, da parte di esponenti del clan della famiglia Proietti, detti i ‘pesciaroli’.

La morte di Giuseppucci scatenò una guerra tra opposte fazioni, segnando l’inizio della disgregazione della banda della Magliana. Da quel momento in poi i due gruppi prevalenti, i Testaccini di Abbruciati e De Pedis da una parte e quelli della Magliana guidati da Abbatino dall’altra, entrarono in una fase di continua tensione nella quale c’era una predominanza economica del clan di De Pedis. L’ultimo capo della banda fu assassinato il 2 febbraio del 1990 in un agguato in pieno giorno in via del Pellegrino, tra la folla del mercato di Campo de’Fiori. Tumulato inizialmente al cimitero del Verano, la salma di Renatino fu traslata in grande segreto nella basilica di Sant’Apollinare, per volontà del cardinale Poletti, presidente all’epoca della Cei. Solo nel 1997 la trasmissione ‘Chi l’ha visto’ rese pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago dove riposa De Pedis.

La connessione del boss con il sequestro di Emanuela Orlandi prese il via da un identikit realizzato dalla polizia dopo le segnalazioni di un vigile urbano in servizio nei pressi del Senato, al momento della scomparsa della ragazza. L’uomo, interrogato dalle forze dell’ordine, riferì che Emanuela era in compagnia di un uomo alto circa un metro e 75 cm, sui 35 anni, snello, con il viso lungo, stempiato, che aveva una valigetta con accanto una macchina modello BMW scura metallizzata (auto che in seguito verrà ritrovata, appartenuta prima al faccendiere Flavio Carboni e poi ad uno degli esponenti della banda). Dalla descrizione, un carabiniere del Nucleo Operativo di via in Selci notò la somiglianza con il boss capitolino, ma l’intuizione non ebbe un immediato seguito investigativo poiché si riteneva De Pedis all’epoca latitante all’estero.

Sabrina Minardi nel 2006 riferì agli inquirenti che Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa, il suo corpo chiuso in un sacco e gettato in una betoniera a Torvajanica. In quell’occasione De Pedis si sarebbe liberato anche del cadavere di un bambino di 11 anni, Domenico Nicitra, figlio di un boss storico della banda. Stando alla Minardi, il rapimento della Orlandi sarebbe stato effettuato materialmente da De Pedis, su commissione di monsignor Marcinkus “come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro”.

L’ex compagna del boss ha raccontato di aver riconosciuto Emanuela a bordo della sua auto prima che “un uomo che sembrava un sacerdote la prendesse in consegna su una macchina targata Città del Vaticano”. La ragazza, secondo Sabrina Minardi, avrebbe trascorso la prigionia a Roma, in un’abitazione di proprietà di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13, che aveva “un sotterraneo immenso che arrivava fino all’Ospedale San Camillo” (la cui esistenza è stata realmente accertata dagli inquirenti nel 2008). Ad occuparsi di Emanuela fu la governante della signora Mobili, ‘Teresina’. La proprietaria dell’abitazione, secondo la Minardi, era vicina all’esponente della banda della Magliana Danilo Abbruciati. Successivamente l’ex compagna di Renatino ha citato un altro componente della banda che, rintracciato dalle forze dell’ordine, ha confessato che il rifugio in via Pignatelli era sì un nascondiglio, “non per sequestrati, bensì per ricercati”. Dove potrebbe essersi nascosto De Pedis durante la sua latitanza.

In un’altra dichiarazione, nel 2009, l’ex moglie del calciatore Bruno Giordano ha riferito che Emanuela Orlandi trascorse i primi quindici giorni di prigionia a Torvajanica, nella casa al mare di sua proprietà. Le dichiarazioni della Minardi, benché abbiano fornito degli spunti interessanti, sono state definite dagli inquirenti come parzialmente incoerenti.

Tuttora, per il sequestro di Emanuela Orlandi, sono indagate cinque persone. E tra queste c’è la supertestimone Sabrina Minardi, oltre a Sergio Virtù, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni, anch’essi legati a Renatino De Pedis. “Mio padre – ha detto la sorella della ragazza scomparsa – era convinto che Emanuela fosse vittima di un gioco più grande di noi. Ora il collegamento con la banda della Magliana è evidente. All’epoca era difficile, impossibile dimostrarlo”.

Gli inquirenti sostengono che sia stata una banda di cinque persone, compresi De Pedis e gli altri indagati, a sequestrare la giovane. Dapprima l’avrebbero pedinata per diverse settimane (non solo lei, ma anche altre cittadine vaticane), poi l’avrebbero rapita. Ad inchiodarle ci sono le dichiarazioni di alcuni testimoni e di collaboratori di giustizia.

Secondo le dichiarazioni del pentito Antonio Mancini, detto ‘accattone’, l’obiettivo del rapimento furono “sempre e solo i soldi. La banda – sostiene Mancini – aveva prestato cifre da capogiro a Roberto Calvi, soldi che erano stati girati al Vaticano. Emanuela Orlandi fu sequestrata da Enrico De Pedis e, nonostante l’avesse uccisa, continuò a trattare col Vaticano. Ottenne – conclude ‘l’accattone’ – la concessione di essere sepolto nella basilica di Sant’Apollinare durante i negoziati. Renatino era religiosissimo”.

Nicola Cavaliere, ex vicecapo della polizia (che seguì anche il delitto di via Poma), ha sostenuto una tesi ben precisa: “Molte linee convergono verso quella di un ricatto nei confronti della Santa Sede, perché dopo l’uccisione di Roberto Calvi ai creditori illegali del banco Ambrosiano si poneva un problema non secondario: quella di vedersi saldare il debito. Ma era una certezza difficile da dimostrare allora e anche oggi”.

Il Vaticano, dal canto suo, non facilitò le indagini e lo stesso papa Giovanni Paolo II concesse al fedele Marcinkus un salvacondotto per trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Phoenix, negli Stati Uniti.

C’è chi sostiene che la vita di Emanuela fu messa in palio in cambio dei soldi custoditi dallo Ior. Soldi che nel frattempo lo stesso Marcinkus non aveva più, finiti chissà dove. Forse in Polonia per sovvenzionare la causa di Solidarnosc. Forse in Sudamerica, a sostenere le missioni cattoliche oppure sperperati in operazioni finanziarie controverse.

Il giudice Rosario Priore ha sostenuto che “la trattativa per liberare Emanuela, se ci fu, fallì. Il boss Renatino De Pedis capì che non sarebbe riuscito a recuperare i suoi soldi. E a quel punto il destino di Emanuela fu segnato”. Altre supposizioni parlano di uno scontro di potere in seno al Vaticano tra chi sosteneva Giovanni Paolo II, il primo papa straniero della storia, e la corrente dei cardinali di Santa Romana chiesa. Il rapimento di Emanuela potrebbe essere stato un segnale di avvertimento e di restaurazione dopo l’elezione del papa polacco.

Comments

  1. Fabio

    Insomma quando verrà aperta sta tomba?? Ma l’ipotesi è che ci siano all’interno le due salme??

  2. luca

    io credo che il vaticano a quei tempi sia stata peggio della camorra o della banda della magliana o del p2 e governo stesso tanto non c’era differenza tra loro in quanto erano la stessa cosa, la verita’ non saltera’ mai fuori perche’ ce troppi interessi in merito a tenerlo nascosto

    detto questo , a buon intenditore poche parole pultroppo