27 gennaio: "vuoti di memoria" sui triangoli rosa - Diritto di critica
«Il muro di Berlino ora è solo un ricordo. La generazione dei tempi della guerra sta per scomparire e il Paese sembra deciso a creare un futuro brillante. Ma una cultura si basa anche sui ricordi alcuni vengono ostentati altri nascosti». Sono parole estratte dal documentario francese del 2000, Paragraph 175, attraverso il quale lo storico Klaus Mueller ha raccontato, per la prima volta, la persecuzione degli omosessuali in Germania, prima, durante e dopo il nazismo.
Il Paragrafo 175 era una misura del codice penale tedesco, entrata in vigore nel 1871, che puniva la “fornicazione innaturale”, quindi la sodomia. Resa ancora più punitiva dal regime nazista, che la modificò includendo qualsiasi gesto o effusione tra uomini considerata sconveniente, è rimasta in vigore ben oltre la caduta di Hitler, fino al 1994.
I ricordi nascosti sono proprio quelli degli omosessuali perseguitati dai nazisti. Per decenni la memoria dei “triangoli rosa”, il simbolo cucito all’altezza del petto sulla camicia dei prigionieri gay nei campi di concentramento, è rimasta sepolta nella vergogna delle vittime. Liberati dai lager subirono l’onta di essere rinchiusi nuovamente in carcere sempre in base al Paragrafo 175 e spesso, al contrario delle vittime della Shoah e degli altri olocausti, non ricevettero nessun risarcimento né morale né economico.
Nel 2000, tra le persone imprigionate per omosessualità, erano ancora in vita solo una decina. Cinque tra questi accolsero la richiesta di Mueller di raccontare la loro storia, dai tempi in cui Berlino e la Germania erano un Eden per gay e lesbiche, nonostante la misura persecutoria in vigore, fino ai campi di concentramento e alla successiva liberazione. Tutti e cinque sono ora morti e probabilmente lo saranno anche quelli che non vollero farsi intervistare.
httpv://www.youtube.com/watch?v=ySlMFFJQcO0
A undici anni dall’uscita di quel documentario la loro memoria, nascosta e mai ostentata, è tuttora in mano quasi esclusivamente alle associazioni lgbt, tuttora impegnate affinché le celebrazioni della Memoria ricordino, esplicitamente, anche le vittime di quello che Massimo Consoli, tra i fondatori del movimento di liberazione omosessuale in Italia, chiamò “omocausto”.
Anche oggi, se da un lato il PD romano, insieme al PD Rainbow, ha organizzato commemorazioni in diversi luoghi di Roma legati agli olocausti e quella a Piramide alle vittime omosessuali, dall’altro ha dedicato i suoi manifesti genericamente al Giorno della Memoria e particolarmente solo alla Shoah, anche con uno in ebraico. Nessun riferimento specifico alle altre vittime dimenticate: omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap. Shoah, e l’ufficio comunicazione del partito dovrebbe saperlo, non è sinonimo di Olocausto. E le vittime omosessuali, rispetto ai deportati con il triangolo rosa (tra i 5.000 e i 15.000, circa centomila invece i prigionieri incarcerati in base al paragrafo 175), sono state, a causa delle maggiori torture, vessazioni fisiche (anche da parte degli altri prigionieri) e degli “esperimenti scientifici” di cui furono oggetto, quelle percentualmente più numerose.
In serata è poi arrivata la notizia che il consigliere al comune di Roma, Paolo Masini (PD), ha proposto l’intitolazione di una strada proprio ai triangoli rosa. “La mozione da me presentata – ha riferito Masini – é stata purtroppo bloccata dai gruppi consiliari dell’Udc e de La Destra, che hanno posto un insensato veto a una proposta dall’indiscutibile valore civico, come riconosciuto invece dagli altri gruppi di maggioranza e opposizione che hanno assicurato il loro sostegno. Ritengo che sia stata sprecata un’opportunità per lanciare un segnale forte e condiviso”. Se il sostegno fosse arrivato da tutti i gruppi consiliari la proposta poteva essere messa immediatamente ai voti. “La mozione sarà discussa certamente in futuro – conclude Masini – ma dispiace che il voto non sia arrivato proprio oggi, nel giorno in cui il messaggio di condanna verso tutte le discriminazioni si fa più forte e dovrebbe unirci tutti”.
Il ricordo di Karl Gorath, Heinz Dormer, Pierre Seel, Albrecht Becker, Heinz F. e quello di Annette Eick, lesbica di famiglia ebraica riuscita a fuggire in Inghilterra poco prima dell’inizio delle persecuzioni, in diverse città come Berlino, Amsterdam e San Francisco, è indelebile: lì sono stati costruiti monumenti in ricordo delle vittime omosessuali del nazifascismo. In Italia c’è n’è solo uno a Bologna, nei giardini di Villa Cassarin; mentre a Roma, l’unico esistente è vicino alla Piramide Cestia, luogo dove venivano radunati i prigionieri prima della partenza verso i lager, e originariamente su una delle cinque sagome era riconoscibile un triangolo rosa. Messa lì, l’opera non è mai stata ufficialmente riconosciuta come monumento alle vittime del nazifascismo ed è abbandonata al degrado. E nonostante la mozione 50 del 2004, durante l’amministrazione Veltroni, che prevedeva l’installazione di un monumento alla Memoria delle persone omosessuali e transessuali perseguitate durante il nazifascismo (durante i totalitarismi nelle versione definitiva approvata in aula), l’impegno non è mai stato mantenuto.
Un nuovo interessamento ad applicare la mozione è stato chiesto, dagli stessi proponenti originari, il gruppo Gayroma.it guidato da Mauro Cioffari, al sindaco Gianni Alemanno. Ad oggi, nessuna risposta.
Nella stessa capitale alla vigilia del Giorno della Memoria sono comparse scritte contro la Shoah a firma Militia e nei giorni precedenti scritte di Militia Christi contro un corso sulle famiglie omogenitoriali in cui si invita a curare le persone gay. Triste parallelo: il regime hitleriano inferì sui triangoli rosa attraverso “esperimenti scientifici”, ovvero torture, proprio per curarli.
L’Italia è il Paese, denuncia il gruppo Antifascist* Verona le celebrazioni ufficiali del 27 gennaio «presentano sovente un inquietante, doppio aspetto di “vuoto di memoria». «Da una parte (il pubblico) – si legge nel volantino distribuito oggi davanti alla Gran Guardia, prima della cerimonia per il Giorno della Memoria – si dimentica cosa hanno fatto e fanno le “autorità” nei restanti 364 giorni dell’anno, dall’altra si finge di esaltare il valore della memoria, salvo poi negarlo nelle pratiche della vita politica quotidiana».
Nello stesso volantino il gruppo antifascista ricorda che il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che aprirà le celebrazioni è stato «condannato in via definitiva per propaganda razzista contro gli zingari, una delle popolazioni vittima dello sterminio nazista. Di quella condanna all’epoca si disse fiero e i primi atti del suo mandato si concretizzarono nello sgombero del centro sociale “La Chimica” e nella chiusura del campo rom di Boscomantico, le famiglie rom disperse in provincia, a carico, si presume, di associazioni, gruppi, comunità di ispirazione cattolica. Nel dicembre 2007 Tosi non mancò di portare i suoi saluti ai camerati del corteo organizzato dalla destra radicale locale, amichetti dei protagonisti di alcuni recenti fatti di violenza che hanno regalato a Verona l’onore dei titoli nazionali e di quelli che recentemente ci hanno minacciato via mail per l’iniziativa di pulizia dei muri da scritte e cartelli neofascisti. Nel 2008 fu eletto a rappresentare il Comune all’Istituto storico per la Resistenza Andrea Miglioranzi, capogruppo della lista del sindaco in consiglio comunale, di ex Fiamma tricolore, chitarrista del gruppo nazirock Gesta Bellica, già condannato per violenza su un antifascista, poi dimessosi in seguito al battage mediatico sulla sua scandalosa elezione».
Ricordano poi la firma di Tosi alla «mozione contro i diritti degli omosessuali oppure durante la messa riparatrice organizzata dagli integralisti contro la manifestazione gay lesbica e trans del 26 febbraio 2005, con la maglietta che recitava “Noi Romeo e Giulietta voi Sodoma e Gomorra”».
E concludono chiedendo «alle autorità presenti e a tutte le persone che terranno dei discorsi di non dimenticare che la Giornata della Memoria è stata istituita per ricordare tutte le vittime dei campi di concentramento nazisti e che tutte queste soggettività vanno nominate».