Porto Torres, il petrolio colpisce ancora - Diritto di critica
Due disastri ambientali in meno di dieci giorni colpiscono Porto Torres. Il 12 gennaio lo sversamento di petrolio dalla petroliera Esmeralda, durante lo scarico del carburante presso il deposito del colosso energetico E.On. Il 20 gennaio l’acqua contaminata dal gasolio, fuoriuscita dal circuito degli scarichi oleosi del Polo Industriale. La Procura apre un’inchiesta prefigurando l’ipotesi di danno ambientale: ancora da dimostrare l’eventuale dolo. Intanto la Sardegna guadagna una spiaggia nera e sale nella classifica delle regioni più a rischio di disastro ecologico, dopo Sicilia e Abruzzo.
Ad aprire la crisi ambientale è stato, mercoledì 12 gennaio, un «imprevedibile guasto meccanico nella linea di drenaggio del collettore manichette posizionato all’interno della banchina». In pratica, si è rotta una porzione del tubo che scaricava nei silos della E.On il carburante della petroliera Esmeralda, sversando petrolio in mare. In meno di due giorni, la marea oleosa ha raggiunto Fiume Santo, ricoprendo 16 chilometri di costa, e solo ieri ne sono state rilevate tracce sulla costa orientale dell’isola (a Santa Teresa di Gallura), ad oltre 100 chilometri di distanza. Il comandante della Capitaneria di Porto Torres, il capitano di fregata Giovanni Stella, ha assicurato il 18 gennaio che l’emergenza era rientrata grazie al lavoro della task force messa in piedi dalle autorità portuali e dalla Provincia di Sassari: non ha però convinto numerosi gruppi volontari, secondo cui le quantità di carburante sversato sono decisamente maggiori di quelle denunciate. Intanto numerosi testimoni raccontano di spiagge chiazzate da masse gelatinose nere nella zona di Fiume Santo, sito giudicato di rilevanza comunitaria e sede di un’oasi lagunare del Wwf .
Non era ancora terminato il primo monitoraggio post-intervento che già scoppiava un’altra crisi ambientale. Il 20 gennaio sono le acque reflue dello scalo industriale, cariche di gasolio, a sversare nel mare di Porto Torres. Più difficili da individuare e da raccogliere, queste acque contaminate sono già al largo, e – secondo le associazioni degli ambientalisti di Sassari – potrebbero sommarsi ai danni, tutt’altro che sanati, del litorale interessato.
Destinataria del carburante sversato il 12 gennaio e prima responsabile del disastro è la E.On Italia, braccio nostrano di una multinazionale tedesca dell’energia. Nata nel 2000, è cresciuta a colpi di acquisizioni in tutto il mondo: oggi è al primo posto per il volume di investimenti energetici, con partecipazioni in Gazprom, 90 mila dipendenti e un fatturato di 70 miliardi di euro (dati 2007). E’ entrata nel nostro paese attraverso l’acquisizione di Endesa Italia Spa e di Merloni Progetto Energia – che le garantiscono impianti di produzione di elettricità per oltre 7 GW sul suolo nostrano. Tra questi investimenti c’è anche il trentennale impianto di Fiume Santo, in località “Capu Ardu”: si tratta di una centrale termoelettrica a carbone, olio combustibile e gas naturale, che fornisce il 36% del fabbisogno elettrico sardo, a cui era destinato il carico di carburante sversato in mare.
La E.On sarebbe la principale responsabile di un disastro ecologico su cui la Procura di Sassari ha aperto un’indagine, ipotizzando il reato di danno ambientale. Tra i punti da accertare, un ritardo di 12 ore nell’allarme, quando ormai le cisterne della petroliera erano vuote. Quanto olio nero è finito in mare? «La quantità stimata all’inizio è sicuramente diversa da quella reale, ma dobbiamo accertare con precisione il danno – spiega Livio Russu, vice direttore della centrale elettrica di Fiume Santo -. Noi comunque siamo pronti a fare tutto il possibile per restituire alla Sardegna le sue coste com’erano prima. Abbiamo messo al lavoro quasi cento uomini e lavoreremo finché sarà necessario». Intanto la Presidente della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, ha chiesto lo Stato di calamità naturale al Consiglio dei Ministri, per far fronte ai danni ambientali ed economici al turismo locale. E alla E.On la Giudici ha chiesto di dismettere i gruppi a olio combustibile dal momento che la loro incompatibilità ambientale è ormai dimostrata dai fatti.
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