Trans e carceri, Rovasio (Certi diritti): "Problemi più gravi sono sovraffollamento e condizioni umane" - Diritto di critica
Sabato 15 gennaio una delegazione di radicali, composta da Rita Bernardini, deputata radicale del Pd e Presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti, Giuseppe Rossodivita, Consigliere Regionale radicale del Lazio, Leila Deianis, Presidente dell’Associazione Libellula e Sergio Rovasio, Segretario di Certi Diritti, hanno visitato il carcere romano di Rebibbia. Accompagnati dal direttore dell’istituto penitenziario Carmelo Cantone hanno voluto in particolare constatare la vivibilità per i detenuti e le detenute transessuali visitando il reparto a loro riservato dove attualmente rinchiuse 25 persone, quasi tutte straniere.
In tutta Italia le persone transessuali detenute sono 168 distribuite in 17 carceri italiane, che i radicali si sono impegnati a visitare tutte nei prossimi mesi. La maggior di queste detenute e detenuti si trovano nei penitenziari di Napoli, Roma, Firenze e Belluno e spesso vivono in condizioni di forte disagio. Quasi tutte sono persone extra-comunitarie e molte si trovano in regime detentivo per violazione della legge sull’immigrazione.
Rovasio, l’attenzione dei radicali non si distoglie mai dalla situazione delle carceri e dei diritti dei detenuti. Caso sicuramente particolare è quello dei detenuti e delle detenute transessuali. Oltre i dati allarmanti qual è stata l’impressione della delegazione radicale e della rappresentante della comunità transessuale presente con voi?
Nel reparto protetto delle persone transessuali del carcere di Rebibbia si vivono le stesse pessime condizioni che vivono tutti gli altri detenuti, alle quali si aggiungono però le maggiori difficoltà che vivono più in generale le persone transessuali. I problemi più gravi sono il sovraffollamento e le condizioni umane, senza dubbio inadeguate alle loro esigenze. La mancanza di un’attività lavorativa, poi, non fa che peggiorare ulteriormente la situazione. Su 25 persone detenute nel reparto, soltanto due hanno la possibilità di lavorare. Inoltre ci sono problemi seri sulle visite mediche specialistiche: troppo poche e non adeguate, anche nella tempistica, alle richieste.
E’ di un anno fa, del 27 gennaio 2010, la notizia dell’apertura di un carcere a Empoli per persone transessuali. Avete notizie del suo funzionamento? Quello di una struttura dedicata è l’unica strada percorribile per assicurare una detenzione che comunque non violi i diritti di queste persone?
Con Leila Deianis, presidente dell’Associazione Libellula e Rita Bernardini, deputata e Presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti, abbiamo parlato di questo carcere mai aperto, ma del quale è rimasto in piedi progetto. Vi sono pareri discordanti. Il principale riguarda il fatto che la ghettizzazione in un ambiente chiuso non è certo la migliore soluzione per le persone transessuali. L’unico aspetto positivo potrebbe essere la specializzazione riguardo il trattamento medico e sociale, ma questo si può ottenere in un qualsiasi reparto detentivo delle carceri italiane. Occorre piuttosto aprirsi di più alle associazioni di volontariato e aiuto, promuovendo attività ricreative e culturali, anche esterne, quasi del tutto assenti oggi.
Nel lunghissimo elenco tenuto dai Radicali, che incidenza hanno i casi di suicidi di persone transessuali?
Purtroppo la percentuale di suicidi o tentativi di suicidio, includendo anche i Centri di Identificazione ed Espulsione, è molto alta tra le persone transessuali. Abbiamo segnalazioni di vicende umane drammatiche, determinate anche dal fatto che spesso le transessuali vittime della tratta delle prostituzione, fenomeno purtroppo molto diffuso e non conosciuto, si ritrovano incarcerate o detenute nei Cie con gli aguzzini e sfruttatori/sfruttatrici, senza che le autorità facciano nulla per scongiurare il rischio di violenze e soprusi e le gravi conseguenze. Questo determina disperazione e solitudine inimmaginabili.
L’attuale legislazione quale trattamento prevede per i detenuti e le detenute transessuali? In questo tipo di battaglia, qual è l’obiettivo dell’associazione Certi Diritti?
Le persone transessuali sono detenute in aree considerate ‘protette’. In realtà si tratta di reparti come tutti gli altri con l’unica caratteristica che loro non entrano in contatto, ad esempio durante l’ora d’aria, con
il resto della popolazione detenuta. Ciò è dovuto a ragioni di sicurezza, per evitare atti violenti causati dal pregiudizio e dall’ignoranza. Il nostro obiettivo è quello di verificare le condizioni di detenzione di questa parte della popolazione carceraria, che necessita di aiuto e sostegno maggiori a causa di una grave emarginazione. Ciò che per loro è già difficile all’esterno del carcere diventa ancora più difficile e drammatico al suo interno. Spesso si verificano conflitti anche tra di loro e questo complica ulteriormente la situazione. In passato ci sono stati segnalati casi di violenze e soprusi da parte del personale carcerario, per fortuna si tratta di casi isolatissimi che non sembrano più ripetersi.
Più in generale, pensando comunque alla comunità transessuale, quali sono quei “certi diritti” per i quali si batte la vostra associazione.
Noi cerchiamo di lottare contro questo sistema ipocrita e sessuofobico che criminalizza, mette all’indice e considera peccaminoso tutto ciò che non è conforme ai principi del moralismo bigotto della peggior cultura clerico-fascista. Le persone transessuali sono tra le prime vittime di questi pregiudizi, ed è anc
he per questo che siamo impegnati nella promozione e nella
difesa dei loro diritti. Visti i tempi che stiamo attraversando, con il trionfo della peggiore ipocrisia e falsità, è sempre più difficile riuscire a contrapporre un’idea di ‘liberazio
ne’ dai pregiudizi e dall’odio che provengono innanzitutto dalla nostra miserabile classe politica. Sempre più genuflessa ai voleri dei gerarchi vaticani che campano di privilegi e finanziamenti di ogni tipo.
Piccola associazione, la vostra ha comunque ottenuto un importante successo attraverso la campagna “Affermazione civile”, attraverso la quale, insieme alla rete Lenford, siete riusciti a portare all’attenzione della Corte costituzionale il problema della parità dei diritti per le coppie di persone dello stesso sesso…
Dopo che la Consulta si è espressa sul tema ben tre volte, abbiamo deciso di rilanciare la campagna di Affermazione Civile. Continueremo a cercare coppie lesbiche e gay disposte a presentarsi nei loro Comuni di residenza per chiedere le pubblicazioni per il matrimonio. L’obiettivo è quello di incardinare continuamente iniziative legali quando il Comune oppone alle coppie il diniego al matrimonio. In stretto contatto con le associazioni di Spagna, Belgio, Portogallo, Olanda, Germania, stiamo cercando coppie lesbiche e gay italiane e/o miste, che si sono sposate all’estero, per sollecitarle a intraprendere iniziative legali in ambito europeo, ricorrendo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o alla Corte di Giustizia Europea. Il mancato riconoscimento di queste coppie da parte dell’Italia è una evidente violazione dei Trattati di Nizza e di Lisbona oltre che una violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Per questo andiamo avanti su questa strada. Prima o poi anche la nostra classe politica – retrograda, incurante del rispetto dei diritti civili e umani, che calpesta continuamente i valori democratici e costituzionali del nostro Paese – grazie a centinaia e centinaia di ricorsi si dovrà rendere conto che occorre muoversi, smettendola di sbandierare l’arma del fondamentalismo ideologico e religioso. Questi principi li applicassero per loro, se vogliono, ma è semplicemente folle volerli imporre a tutti, come se vivessimo in uno Stato teocratico.
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