Vent'anni fa l'Italia riscoprì la guerra, oggi è la normalità - Diritto di critica
Chi ha meno di 25 anni difficilmente ricorda il volto tumefatto di Maurizio Cocciolone. Ma vent’anni fa i suoi occhi persi, le sue parole stentate hanno fatto piombare l’Italia nello sgomento e nella paura. Era la guerra. Dopo 46 anni, l’Italia riscopriva la guerra. Eravamo tutti lì, il 20 gennaio 1991, di fronte alla televisione a vedere un navigatore dell’Aeronautica italiana, prigioniero nelle mani degli iracheni, mentre nulla si sapeva della sorte del suo pilota Gianmarco Bellini. Oggi di tutto questo sgomento non rimane più nulla.
“My name is Cocciolone”, esordì l’ufficiale italiano ripreso dalla televisione irachena. “La guerra è un male, credo che la soluzione migliore sia quella di trovare dei mezzi pacifici. Non è bene risolvere il problema con la guerra. Bisogna trovare una soluzione politica. Quando l’uomo fa una guerra, deve avere una causa e tu non hai una causa perché l’Iraq non ha attaccato l’Italia. L’Iraq non è il nemico del tuo popolo, non è tuo nemico”. Queste le parole pronunciate da Cocciolone, dettate dai suoi aguzzini. Saddam aveva capito che era proprio il mezzo mediatico a poter incrinare la solidità della coalizione guidata dagli Stati Uniti. E la strategia irachena in Italia rischiò di funzionare. Gli aerei italiani continuarono a bombardare gli obiettivi iracheni ma in patria l’opinione pubblica rimase particolarmente scossa. Nei più anziani riemerse la paura e c’era chi nei supermercati iniziò a fare scorte di pasta e latte, mentre nei tg andavano in onda le lacrime e gli appelli dei familiari dei due aviatori.
Ma oggi la stessa attenzione mediatica non c’è. Niente più lacrime, niente più interviste. E se una notizia come questa faceva aprire i giornali vent’anni fa, oggi non ne rimane che un richiamo in taglio basso. Così tutto è normale, tutto è quasi scontato.
Sì chiamano Matteo Miotto e Luca Sanna. Chi sono? Perfetti sconosciuti morti in Afghanistan. Sono morti e non sono divenuti delle star. Se ne sono andati nel silenzio più assoluto perché ormai perdere la vita per una missione di “pace” è normale. Miotto è stato colpito in un conflitto a fuoco il 31 dicembre. Sanna, invece, è l’ultimo di una ormai lunga serie: il 36esimo soldato italiano, ucciso da un infiltrato nella base militare. La sua salma ha fatto ritorno in patria questa mattina. È atterrata a bordo di un C-130 all’aeroporto militare di Ciampino. A rendere onore alla bara avvolta dal tricolore non ci sono più le mani di Ciampi e la commozione che prendeva al cuore solo pochi anni fa. Non c’era il Presidente Napolitano. Al suo posto Renato Schifani. Una cerimonia rapida. Non c’era l’inviato del tg1, ma solo un misero collegamento di un paio di minuti con UnoMattina e la pioggia di Roma. Non c’era più quella voglia di chiedersi: “Tutto questo ha senso?”. Silenzio.
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Gennaio 20, 2011
Continuo a ritenere questa, e le precedenti guerre, degli enormi fallimenti dell’umanità.
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Gennaio 20, 2011
DarioMi pare ovvio che non susciti più niente,quella gente era li perchè ha deciso di fare il militare.
Poi basta con sta storia delle missioni di pace,ma da quando in qua si fa la pace con le armi e la guerra??”Missione d pace” è il modo in cui gli USA chiamano le guerre per i propri scopi personali e poi approfittano di accordi con i governanti di paesi leccapiedi come il nostro, per mandare a morire i nostri compaesani e intanto trarne profitto.Sempre nel nome della “pace”BASTA,per favore.
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