Ddl svuota carceri, le associazioni: “Provvedimento inutile, mancano percorsi di reinserimento” - Diritto di critica
“Una misura pensata in chiave punitiva, che non consente il reinserimento sociale dei detenuti. Occorre invece creare una cultura dell’accoglienza”. Il ddl svuota carceri non risolve il problema del sovraffollamento: finora solo poche centinaia di detenuti hanno usufruito del provvedimento in Italia e molti preferiscono finire di scontare la pena in carcere, per evitare misure troppo restrittive (da uno a 5 anni di carcere in caso di “evasione” dai domiciliari).
In Sardegna (dove il sovraffollamento è critico), su 2300 detenuti finora un solo recluso ha usufruito del provvedimento: “Alcuni rifiutano – spiega Maria Grazia Caligaris, responsabile dell’associazione Socialismo, diritti e riforme, intervistata da Diritto di critica – perché una volta usciti dal carcere, non sanno dove andare e non hanno un lavoro per mantenersi”.
Il disegno di legge, approvato in via definitiva lo scorso novembre, prevede che chi deve scontare un anno o meno di pena, possa tornare a casa, beneficiando degli arresti domiciliari (l’esecuzione domiciliare è disposta dal magistrato di sorveglianza). Si tratta di una legge “a tempo”, valida fino al 2013, pensata per risolvere il problema del sovraffollamento (circa 72mila i detenuti complessivi rispetto ai circa 44.500 posti disponibili), non applicabile ai delinquenti abituali (cioè la maggior parte dei detenuti).
Per le associazioni si tratta di un provvedimento inutile, che, per le clausole imposte, sarà utilizzato complessivamente da non più di poche migliaia di carcerati (massimo 3mila, rispetto ai settemila previsti): “Questo ddl – spiega Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale volontariato e giustizia a Diritto di critica – non è usufruibile perché mancano quelle risposte sociali che andavano pensate prima, per poter creare realmente ipotesi alternative al carcere”. I problemi più grossi sono la carenza di opportunità abitative e di lavoro, su cui il mondo del volontariato ha da tempo lanciato l’allarme. “L’indulto – continua Elisabetta Laganà – avrebbe potuto essere l’occasione per ripensare il sistema carcere, ma non è stata sfruttato”.
Le critiche maggiori al ddl riguardano l’innalzamento della pena per l’evasione dai domiciliari da 1 a 5 anni e l’accertamento della stessa evasione: “Può succedere che il detenuto sia in giardino, e non senta il campanello”. E poi soprattutto, ci sono le limitazioni riguardanti il domicilio, che, per essere considerato idoneo “deve possedere certe caratteristiche – spiega Maria Grazia Caligaris -, che rendano possibile un controllo costante”. Così, continua la Caligaris, “molti detenuti, che potrebbero accedere alle misure alternative, preferiscono restare in carcere, dove paradossalmente si sentono più al sicuro”. Ad essere penalizzate sono soprattutto le categorie più deboli (che potenzialmente potrebbero usufruire maggiormente del provvedimento), come immigrati “che non hanno un domicilio, perché privi di permesso di soggiorno”, o come i tossicodipendenti (22% dei detenuti, tra cui tanti giovanissimi) “che hanno difficoltà di essere riaccolti nelle famiglie”. Una misura che non è dunque concepita per “favorire l’alleggerimento, ma pensata in chiave punitiva”.
Bisognerebbe invece favorire reali progetti di reinserimento sociale, attuare “un ripensamento del sistema sanzionatorio generale – sottolinea Elisabetta Laganà – attraverso la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, per arrivare a una soluzione non solo tampone, ma stabile”.
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