Mirafiori come Pomigliano: il ricatto di Marchionne - Diritto di critica
Il 13 e il 14 gennaio prossimi i lavoratori dello stabilimento Fiat Mirafiori di Torino saranno chiamati a decidere se accettare o meno l’accordo proposto dall’ad del gruppo Sergio Marchionne e già accettato dalle sigle sindacali, ad eccezione di Fiom-Cgil e Cobas. Definire, però, il referendum del tutto inutile e di facciata è poco più che un eufemismo.
Anche nell’altra storica fabbrica Fiat in Italia, a Pomigliano d’Arco, le modalità furono simili. Anche allora la sospensione di alcuni diritti dei lavoratori in cambio del mantenimento della produzione automobilistica in Italia fu accolta dalle parti sociali come una “eccezione straordinaria”. Le sigle contrarie (la Fiom su tutte, anche lo scorso anno) invece avvertirono il Paese del possibile rischio che tali pratiche diventassero di ordinaria amministrazione nella lotta sociale e che l’episodio successivo avrebbe colpito Mirafiori, com’è puntualmente capitato. Ancora una volta, le tute blu si trovano di fronte al dilemma di scegliere tra gli investimenti dell’azienda sul loro polo industriale a scapito di alcuni diritti, oppure radicalizzare la loro difesa cedendo all’ennesima esternalizzazione della manodopera verso mercati più convenienti. Per i 5.000 di Mirafiori una scelta davvero difficile, se non drammatica, seppur scontata.
Sulla prima pagina de Il Sole 24 ore, all’indomani della firma dell’accordo del 23 dicembre, si leggeva del patto tra azienda e parti sociali come di «un accordo storico» e leggendo i vari punti messi in discussione dalla Fiom, effettivamente, si capisce sia realmente unico nel suo genere. Ma non nel senso positivo sottolineato dal giornale di Confindustria.
Se nel primo miliardo e sette di investimento complessivo (tra Pomigliano e Mirafiori) una parte importante è rappresentata dagli obblighi di formazione che l’azienda vuole assicurare ai suoi dipendenti, i punti che hanno provocato le fibrillazioni sono decisamente più evidenti (qui la copia dell’accordo sottoscritto). Il principio generale sotteso è che, oggi, un’intesa tra imprenditore e sigle sindacali (anche se non tutte quelle votate all’interno delle rappresentanze) possa derogare il contratto collettivo di lavoro anche con clausole peggiorative. La confusione e la contraddittorietà della giurisprudenza in tema del cd. “principio di inderogabilità in peius“ da parte dei singoli accordi rispetto a quelli collettivi e alla legge ha lasciato spazio alla sottoscrizione di alcune sospensioni evidenti dei diritti dei lavoratori.
PAUSE, RIPOSI E ORARIO DI LAVORO – L’intesa ha previsto un’esplicita sospensione del d.lgs. 66 del 2003 (“Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”) e delle precedenti intese firmate. Se la messa in evidenza del passaggio delle tre pause oggi previste da 35 minuti complessivi a 30 è semplice fumo negli occhi perché si pensi a una lotta degli operai legata ad aspetti residuali, tutto cambia quando si passa all’analisi della sperimentazione dello schema di orario a 12 turni. Secondo il patto, si valuterà la sperimentazione, per un periodo non inferiore a 12 mesi, di un utilizzo del dipendente per 10 ore (a fronte delle ordinarie 8 ) in 6 giorni, sabato compreso. Nei regimi di orario ordinario, invece, le parti verificheranno la possibilità di collocare la mezz’ora retribuita per la refezione a fine turno, anziché al centro come nell’orario sperimentale da 10 ore e come si fa oggi nello stabilimento. La scelta della Fiat evidenzia un atteggiamento ben lontano da paese del ‘primo mondo’, così come evidenziato in un post sul nostro portale.
RAPPRESENTANZE SINDACALI – A Mirafiori terminerà l’era dell’RSU (rappresentanza sindacale unitaria, che oggi vede la Fim-Cisl primo sindacato e Fiom-Cgil secondo) a favore della RSA (rappresentanza sindacale aziendale), per limitare la presenza di sindacati firmatari l’accordo e non eletti, di fatto, dai lavoratori, ma direttamente dalle sigle. Con questa scelta, la Fiom sarebbe fuori dalla fabbrica torinese (motivo per cui Susanna Camusso, segretario generale Cgil, ha invitato il numero uno della Fiom Maurizio Landini ad aderire in caso di vittoria del ‘sì’ al referendum) e dalla possibilità di incidere sulle scelte aziendali.
ASSENTEISMO – Il giro di vite in tema di assenze e ‘giorni di malattia‘ dichiarati al solo scopo di risparmiare giorni di ferie è notevole. Con l’esclusione dei lavoratori affetti da dichiarate e comprovate patologie, gli operai saranno costantemente monitorati da una commissione paritetica azienda-sindacati: se le assenze per malattie supereranno il 3,5% si avvieranno forme di sensibilizzazione a discrezione del comitato. Se questa percentuale fosse superata nei primi 12 mesi dalla validità dell’accordo, per 12 mesi ai lavoratori che si assentino per malattia non superiore a cinque giorni, in prossimità di giorni di ferie, festività o riposo settimanale (creando, così, un “ponte”, per intenderci) non verrà riconosciuto alcun trattamento economico per i primi due giorni. Lo stesso sistema sarà applicato ogni 12 mesi, con verifiche ed eventuali blocchi degli emolumenti per malattia.
L’accordo, si legge, entrerà in vigore subordinatamente all’espressione del voto dei dipendenti. Ma la dichiarazione lapidaria dell’ad Fiat («Se a Mirafiori vince il no andiamo in Canada») lascia intendere una lettura univoca: il gioco è truccato; il banco vince sempre.
Le relazioni sindacali, la lotta sociale e l’inasprimento dei toni lontanissimi dalla concertazione di qualche anno fa sono oggi, e chissà per quanto, definitivamente compromesse.
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Non condivido, di quali diritti davvero si fa a meno? ho scritto a proposito questo post:
http://www.pierferdinandocasini.it/2011/01/13/per-marchionne-per-la-fiom-per-cosa-si-vota-a-mirafiori/ -
IL SINDACATO FIOM CGL MI ASSOMIGLIA IL MARITO CHE VIENE TRADITO DALLA MOGLIE , LUI PER RIPICCA SI TAGLIA LI COGLIONI . E LORO PER RIPICCA SE LI STANNO TAGLIANDO
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