La fabbrica della paura: «in Italia una volontà politica di produrre clandestinità» - Diritto di critica
“C’è una precisa volontà politica di continuare a produrre clandestinità in Italia”. Gianfranco Schiavone, consigliere nazionale Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione), intervistato da Diritto di critica spiega le ragioni del “silenzio voluto” di fronte alla direttiva europea del 2008 sul rimpatrio degli immigrati irregolari (da applicare negli stati Ue entro il 24 dicembre, ma non ancora recepita dall’Italia) e spiega perché bisognerebbe riscrivere l’intera normativa italiana per combattere realmente l’irregolarità e “l’accanimento contro gli stranieri”.
Obiettivo della direttiva, favorire una procedura di allontanamento che rispetti maggiormente i “diritti” degli espulsi. Tra le novità, il “rimpatrio volontario” come alternativa all’espulsione coercitiva: ogni stato dovrà assicurare un periodo da 7 a 30 giorni all’immigrato che scelga “la partenza volontaria” (possibilità negata solo in caso di commissione di reati, pericolo per l’ordine pubblico e rischio di fuga). Nel caso di allontanamento volontario, gli Stati Ue hanno la possibilità di eliminare qualsiasi termine inibitorio del reingresso (che secondo la direttiva non può superare i 5 anni), “in modo da creare un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni”, spiega Schiavone.
Possibilità che in Italia non è ammessa: “Attualmente, lo straniero irregolare può tornare nel proprio paese o clandestinamente o in esecuzione di un ordine di allontanamento”. E una volta espulso, l’immigrato non può fare ritorno in Italia per almeno 10 anni. “Una normativa rozza e inefficace – commenta Schiavone – che non prevede nessuna premialità e mina qualsiasi collaborazione tra le parti”.
La direttiva, inoltre, pur prevedendo la detenzione dello straniero irregolare, assicura alcune garanzie (deve essere una misura “strettamente necessaria” e può durare al massimo 18 mesi). Nella normativa italiana invece gli irregolari entrano in un meccanismo “di un’eterna privazione della libertà”, con il rischio di detenzione (dai 3 ai 5 anni in caso di mancata esecuzione dell’allontanamento, dopo l’uscita dai Cie) “che li equipara ai peggiori criminali, punendoli non per un reato commesso, ma per il solo fatto di essere clandestini”. Colpa di un “perverso circuito tra sanzioni penali e amministrative”, spiega Schiavone, introdotto a partire dalla Bossi – Fini, che ha alimentato “un accanimento durissimo verso l’immigrato”.
Per applicare la direttiva europea, “bisognerebbe riscrivere completamente l’attuale normativa”, spiega Schiavone. Forse si potrebbe ripartire dalla legge Turco-Napolitano, “sicuramente più in linea con l’attuale spirito europeo nel prevedere l’allontanamento coattivo come un’eccezione e non come la norma”. Termine ultimo dell’applicazione delle nuove norme sui rimpatri era il 24 dicembre, ma il processo di recepimento in Italia non è neanche iniziato: “C’è un voluto silenzio di fronte a questa direttiva, per continuare ad alimentare una fabbrica della paura”.
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