Pena di morte, differenze e analogie tra Usa e Iran. Intervista a Riccardo Noury (Amnesty) - Diritto di critica
Di Erica Balduzzi ed Emilio Fabio Torsello
Dopo il focus sulla pena di morte in Iran, la lente di ingrandimento di Diritto di Critica si sposta sugli Stati Uniti dove ieri una corte popolare dello stato dell’Oregon ha chiesto la condanna a morte per un padre e suo figlio, accusati di aver confezionato un ordigno che nel 2008 uccise due artificieri. Entrambi i Paesi, prevedono nel loro ordinamento giudiziario l’esecuzione capitale. Per fare il punto su similitudini e differenze, pubblichiamo la seconda puntata dell’intervista a Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International che ripercorre anche la vicenda dell’azienda italiana produttrice di un anestetico usato per le esecuzioni negli Stati Uniti: l’Europa prevede condanne per chi commercia farmaci da utilizzare nelle torture ma provarne l’effettivo impiego è quasi impossibile.
Riccardo Noury, quante sono attualmente le persone nel braccio della morte negli Stati Uniti?
Sono circa tremila i detenuti nel braccio della morte delle carceri statunitensi, distribuiti in modo irregolare: la maggior parte, infatti, si trovano in California, lo Stato americano con il reparto più grande. Tra i condannati alla pena capitale, inoltre, c’è una predominanza di afroamericani e ispanici.
Iran e Stati uniti sono molto distanti, se non opposti, sul fronte internazionale. In comune hanno proprio la pena di morte. Quali le differenze sotto questo aspetto?
Negli Stati Uniti esiste un sistema di garanzie, con procedure di appello e ricorsi che sulla carta si presenta migliore rispetto a quanto è in vigore in Iran dove, al contrario, vige la totale arbitrarietà. In Iran, inoltre, esiste il reato di ‘guerra contro Dio’ – accusa tipica di uno stato le cui leggi sono di derivazione religiosa – e punisce come atto ostile a Dio qualunque comportamento contro il governo: lo spettro di applicazione della pena di morte è quindi molto più vasto. Questo non significa però che la pena di morte applicata secondo un sistema di norme giudiziarie codificate sia meno ‘barbara’ di altre: non c’è un grado maggiore di umanità nel far morire qualcuno sulla sedie elettrica rispetto al giustiziarlo mediante la lapidazione.
Quali sono i paesi occidentali e democratici che ancora applicano la pena di morte?
Stati Uniti e Giappone.
La settimana scorsa negli Usa, a causa dell’esaurimento delle scorte di uno dei tre farmaci utilizzati nell’iniezione letale, è stato utilizzato un veleno per animali. Si è trattato di una procedura autorizzata?
C’è stata una sentenza di appello dello stato dell’Oklahoma che l’aveva autorizzata, a patto però che il veleno fosse usato in un determinato ordine rispetto alle altre sostanze. Si tratta di tecnicismi che rischiano di far passare in secondo piano il problema reale della pena di morte, ovvero il fatto che la si cerchi di applicare in tutti i modi e con tutti i mezzi. Anche con il veleno per animali.
L’azienda produttrice di un anestetico usato negli Stati Uniti per le iniezioni letali è italiana. È possibile agire contro questo commercio?
Oltre al dato etico – ovvero il fatto di rendersi corresponsabili di eventuali esecuzioni – c’è anche una questione di immagine per l’azienda stessa che viene immediatamente associata all’idea della ‘pena di morte’. È inoltre in vigore un regolamento dell’Unione europea che vieta il commercio di strumenti atti a produrre torture. Applicare questa normativa, però, è particolarmente difficile perché si tratta di un farmaco a doppio uso, valido anche per le anestesie pre-operatorie oppure, negli Stati che la prevedono, per la pratica dell’eutanasia. Senza elementi che rendano chiaro l’effettivo utilizzo del farmaco per le iniezioni letali, aprire una procedura è difficile.
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