Dopo la "non sfiducia", la fine del "ghe pensi mi"? - Diritto di critica
Silvio Berlusconi ha incassato la fiducia al Senato con ampio margine. Alla Camera, dove il presidente Gianfranco Fini ha dovuto ricordare che con il “no” si votava alla fiducia, un po’ come con i contorti quesiti referendari, il presidente del Consiglio ha ottenuto una “non sfiducia”, con solo tre voti di scarto sulle opposizioni.
Per la maggioranza si prospetta, a detta di avversari e osservatori politici, un cammino comunque difficile e il rischio paralisi sembra ai più inevitabile. Il Governo, però, serrando le fila e tornando a investire sul Parlamento, potrebbe portare a termine a casa riforme importanti. Il Popolo delle Libertà, riconquistate due finiane e “convinti” i transfughi piddini e dipietristi, insieme alla Lega Nord riesce infatti a mantenere il controllo della maggioranza delle Commissioni parlamentari, di cui almeno una di quelle determinanti, quella Giustizia.
Calcolando solo le quattordici Commissioni permanenti alla Camera dei deputati, la maggioranza uscita dalle elezioni del 2008 tiene, con uno o due voti di scarto, la metà di queste; cinque, con lo stesso scarto, passano alle opposizioni; due, conti alla mano e a bocce ferme, sono in una situazione di parità-stallo.
Oltre al voto di fiducia, le ultime votazioni su riforme e progetti di legge lasciano però pensare che le bocce non siano del tutto ferme: quando le mozioni di sfiducia erano già sul tavolo, Futuro e Libertà e l’Api di Rutelli hanno votato, per esempio, a favore della contesta riforma Gelmini. Su altre singole proposte di legge la maggioranza potrebbe consolidarsi allo stesso modo, a discapito della chiarezza e, soprattutto, della vera rappresentatività degli eletti e del programma con il quale si sono presentati.
Alcune riforme importanti dipenderanno dagli umori e dalle indecisioni di pochi deputati. Così come il 14 dicembre, in alcune commissioni saranno determinanti i voti delle colombe, degli indecisi, dei transfughi. In quella Giustizia, per esempio, tutto è in mano a Maria Grazia Siliquini. I primi decisivi passi delle proposte di legge in cantiere in materia di giustizia sono dunque nelle mani di colei che, nel giro di pochi mesi, ha prima abbandonato criticamente Berlusconi e poi gli ha ridato la fiducia. Difficile prevedere un nuovo cambio di casacca e così le proposte care al premier non temono stop, almeno nei primi cruciali passaggi.
In mano a Catia Polidori è invece la X Commissione, dove passano i disegni di legge su attività produttive, commercio e turismo. Il transfugo Massimo Calearo è determinante in quella sull’Agricoltura, dove altrimenti ci sarebbe il pareggio; così come l’ex dipietrista Domenico Scilipoti sull’Ambiente e territorio, dove altrimenti maggioranza e opposizioni sarebbero 22 a 22.
Il neonato terzo polo, che FareFuturo identifica in FLI, UDC, API, MPA e liberaldemocratici, insieme al PD e all’IDV ha larga maggioranza solo nella I Commissione Affari costituzionali, lì le agognate riforme istituzionali berlusconiane e leghiste rischiano lo stop già nei primi passi.
Invariata infine la situazione della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale, a cui tiene particolarmente l’ultimo alleato forte di Berlusconi, Umberto Bossi: in quell’organo non siede nessun finiano.
Pierluigi Bersani definisce la fiducia a Berlusconi una “vittoria di Pirro” e si dice sicuro che difficilmente la maggioranza riuscirà ad andare avanti con questi numeri.
Romano Prodi alla guida dell’Unione uscì dalle elezioni del 2006 con un vantaggio, al Senato, altrettanto risicato. Allora tutto dipendeva da presenti e assenti alle votazioni. Colombe e transfughi permettendo, il governo Berlusconi potrebbe durare abbastanza per portare a casa importanti riforme: a partire da quella Gelmini, che già approvata alla Camera anche grazie a Fini, Rutelli e i loro, è ora al Senato dove le assenze non contano davvero tanto.
Con questi numeri alla mano, il Cavaliere si vedrà probabilmente costretto a ripensare la sua filosofia di governo. Dopo la chiusura forzata della Camera, a cui nei giorni scorsi è stata imposta – come ricorda Stefano Rodotà su Repubblica – una “pausa di riflessione” senza precedenti nella storia repubblicana, il Premier della “non sfiducia” dovrà ricorrere sempre di più agli organi parlamentari che fino ad ora ha bistrattato in nome del “ghe pensi mi”. Nuovo lustro e prestigio per l’attività parlamentare, forse. O ancora l’intensa, frenetica, incessante caccia ai singoli voti che fanno la differenza per portare a casa le riforme più agognate da Silvio Berlusconi e dalla Lega? (Articolo scritto in collaborazione con Riccardo Camilleri)
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