Incendio nelle carceri cilene. Troppi detenuti nelle celle e ritardo nei soccorsi - Diritto di critica
Detenuti in sovrannumero rispetto alla capienza consentita nel carcere di San Miguel di Santiago del Cile. E’ questa una delle concause che avrebbe determinato la morte di 81 persone, a seguito di un incendio. Le autorità cilene hanno precisato che il rogo si è sviluppato dopo una lite tra detenuti alle ore 5.30 del mattino nella torre 5 al quarto piano di uno degli edifici del complesso carcerario. L’allarme è stato lanciato dal telefono cellulare di un detenuto ed alle 5:48 i secondini sarebbero intervenuti per ristabilire l’ordine. Durante la rissa sono stati bruciati dei materassi. Stupisce che siano passati 18 minuti prima che il personale carcerario entrasse in azione.
Nelle ultime ore sta prendendo piede l’ipotesi che a causare l’incendio sia stato un cortocircuito, invece che una banale lite tra carcerati.
A parlarne è stato il padre di uno degli 81 detenuti morti. La testimonianza è stata resa alla radio cilena Cooperativa dopo un colloquio tra alcuni poliziotti ed il genitore. I detenuti, in una cella della torre 5, avrebbero allungato alcuni cavi dell’alimentazione provocandone il sovraccarico.
La sovrabbondanza, inoltre, dei detenuti all’interno delle carceri non avrebbe consentito il normale deflusso verso l’esterno delle celle, visto che il numero dei carcerati si aggirava intorno alle 1.900 unità, quasi il doppio rispetto alla prevista capienza di circa 1000 persone . E’ stato accertato che ben 66 delle vittime erano segregate in una cella di appena 10 metri per 10, il che ha reso impossibile non solo la fuga, ma anche i soccorsi tempestivi. Nella parte nord della torre 5 sono stati salvati 60 detenuti, mentre 15 sono morti. Più tragico il bilancio nel padiglione meridionale, dove sono stati salvati solo 72 reclusi e 66 non sono riusciti a sfuggire alla morte.
I soccorsi dei pompieri sono stati ritardati di circa un’ora per consentire alle squadre anti-sommossa di entrare in azione. L’eventuale apertura delle celle, senza il servizio d’ordine, avrebbe consentito ai reclusi di fuggire, ma avrebbe salvato loro la vita. Circa 200 detenuti sono stati “scortati” nel vicino campo di calcio del carcere in attesa che l’incendio fosse domato dai pompieri.
Delle 81 persone morte, più della metà sono decedute per asfissia e nelle prossime ore il bilancio potrebbe aggravarsi. Il monossido di carbonio prodotto dalle fiamme non avrebbe lasciato scampo alle vittime. E’ attesa, inoltre, l’autopsia sui cadaveri dei detenuti. E’ stato possibile identificare solamente 31 persone. Per gli altri, i cui resti sono totalmente carbonizzati, si dovrà ricorrere al test del Dna per il riconoscimento. Per accelerare le procedure di identificazione, oggi i famigliari delle vittime hanno fornito al medico legale le impronte dentali. E’ da chiarire, inoltre, come la lite tra alcuni detenuti possa essere degenerata fino a dar vita ad un incendio di vaste proporzioni.
Il deputato comunista ed avvocato Hugo Gutierrez non ha dubbi: “La morte degli 81 detenuti – ha precisato in un’intervista alla radio cilena Cooperativa – è una tragedia annunciata. Era prevedibile considerando le condizioni delle carceri nel paese. Senza dubbio – ha spiegato – questo nuovo sistema penale che, teoricamente doveva essere garantista, ha raddoppiato il numero delle persone incarcerate senza migliorare di fatto le loro condizioni di vita. Questa è una conseguenza delle politiche di sicurezza pubblica del nostro paese. Da tutte le relazioni sui diritti umani – ha aggiunto Gutierrez – emerge un problema di affollamento nelle carceri cilene, dove non viene riabilitato nessuno. Da parte dello stato non c’è alcuna volontà di rieducare i detenuti e reinserirli nella vita sociale del paese”.
Il presidente dell’Associazione degli agenti di polizia penitenziaria, Josè Maldonado, ha denunciato “una carenza di personale carcerario. Una situazione che va avanti dal 2007, da quando il governo cileno ha previsto un aumento reale di secondini dopo sei anni, ovvero dal 2013 in poi”. “L’abbandono – ha spiegato Maldonado alla Cooperativa – non è solo per i detenuti, ma anche per la polizia. Il servizio notturno – ha aggiunto – è di sola sorveglianza. Non è previsto il controllo diretto della popolazione carceraria perché c’è abbastanza personale per questa mansione. Ci sono solo cinque funzionari di personale supplementare per 1.900 detenuti”.
Il ministro della salute Jaime Manalich ieri aveva definito l’incendio nel carcere di San Miguel di Santiago come “uno dei più importanti per gravità del sistema carcerario del paese”. Ha spiegato che la gran parte dei feriti gravi (14 dei 19 totali n.d.r.) ha riportato bruciature al volto ed alle vie aree. Le prognosi sono riservate, ma si potrà avere un quadro completo solo nei prossimi giorni. Tra i feriti gravi non ci sono un pompiere e tre funzionari di polizia, trasportati all’ospedale in codice giallo.
Il ministro della giustizia Felipe Bulnes ha annunciato l’avvio di un’inchiesta per far luce sull’accaduto dopo che saranno identificati i detenuti morti e sia prestata assistenza ai feriti.
Fin da ieri pomeriggio sui portali dei media cileni era disponibile la lista dei detenuti sopravvissuti all’incendio. I famigliari hanno preannunciato querela contro la polizia penitenziaria e lo stesso stato del Cile.
Il presidente cileno Sebastian Pinera ieri aveva precisato che le fiamme all’interno della torre 5 erano “divampate in 3-4 minuti”, con le prime ambulanze giunte sul posto “15 minuti dopo le prime chiamate d’allarme”.
Lo scorso 11 novembre 22 giovani detenuti erano morti a seguito di un incendio in un carcere minorile dello stato centroamericano di El Salvador. Un cortocircuito era stato la causa del rogo. Anche in Egitto, nell’aprile del 2007, cinque carcerati avevano perso la vita in un incendio scoppiato per un cortocircuito in un ventilatore nei dormitori di una prigione alla periferia del Cairo.
In Italia l’ultimo incendio che si è verificato all’interno di una struttura carceraria minorile, l’Istituto Beccaria di Milano, non ha fatto registrare morti. Sono state 14 le persone coinvolte, di cui tre intossicate in modo lieve. Fece scalpore, nell’agosto del 2009, la protesta di alcuni immigrati in una cella del carcere di Vibo Valentia. I detenuti appiccarono un incendio per protestare contro il sovraffollamento del settore del carcere in cui erano ristretti. Le fiamme, alimentate con giornali, oggetti di arredo in legno, coperte e plastica, furono spente dal personale della polizia penitenziaria che fece evacuare parte del complesso carcerario interessato dalle fiamme. Non ci furono, in quel caso, gravi conseguenze per i detenuti.
Un elemento che accomuna i roghi nelle carceri è che gli incendi avvengono nella quasi totalità dei casi nelle prime ore del mattino. Nella circostanza degli incendi in Cile, in El Salvador ed in Egitto le strutture carcerarie fatiscenti potrebbero aver favorito l’insorgere di cortocircuiti.
Il sovraffollamento nelle celle, denunciato dalle associazioni che si battono per i diritti umani, può minare profondamente le condizioni di sicurezza dei detenuti e generare ondate di protesta e violenza tra i reclusi e la polizia penitenziaria. Talvolta in alcune carceri, e l’Italia non si sottrae da questo annoso problema, c’è da chiedersi se il detenuto sia considerato o meno un uomo.
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