Banche "furbette", la Cassazione tira le orecchie sugli interessi truffa - Diritto di critica
Anatocismo, ovvero truffa. Vai in rosso sul conto corrente, la banca ti addebita gli interessi passivi. Dopo tre mesi, però, quegli interessi diventano parte del capitale (negativo) del tuo conto: e la banca ti addebita un’altra volta l’interesse sull’interesse. Questa pratica fraudolenta, che moltiplica in maniera esponenziale il debito del consumatore, è stata finalmente dichiarata illegittima dalla Corte di Cassazione, che a sezioni civili riunite ha ribadito il diritto al rimborso del cittadino stabilendo ampi margini temporali per ottenerlo.
La sentenza arriva dal lontano marzo 1999, quando la Corte si pronuncia per la prima volta su un ricorso presentato dall’Adusbef (Associazione in difesa degli utenti di servizi bancari e finanziari), sancendo “la nullità della occulta pratica della moltiplicazione esponenziale geometrica dell’interesse”. L’anno dopo, ad ottobre, lo conferma anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425/2000.
Non è bastato, evidentemente: nel 2009, infatti, un correntista salentino fa causa alla Banca Popolare Pugliese per la ripetizione di illegittime competenze bancarie. Il giudice Silvestrini della Corte d’Appello di Lecce accoglie le richieste dell’utente e stabilisce il rimborso delle somme in questione da parte della banca, che però fa ricorso. A cui risponde la Corte di Cassazione il 2 dicembre 2010.
Ma concretamente, cosa significa la sentenza? Innanzitutto, che le banche non hanno il diritto di imporre agli utenti costi ingiustificati: e la ripetizione degli interessi rappresenta appunto una pratica fraudolenta, volta a caricare il consumatore di un costo non reale. In secondo luogo, allunga i termini di prescrizione per il ricorso dei correntisti: dieci anni a partire dal momento di chiusura del conto corrente. Non più, come succedeva finora, al momento di iscrizione nell’estratto conto dell’operazione: metodo che impediva di fatto l’esercizio del ricorso ai cittadini. Inoltre, ogni clausola compromissoria inserita nel contratto di apertura del conto corrente è ritenuta nulla: non vale quindi l’assenso del correntista, in quanto viene considerato dalla Corte di Cassazione “estorto”.
Per far valere il proprio buon diritto bisogna comunque attivarsi personalmente. L’Adusbef fornisce, sul proprio sito (www.adusbef.it), un facsimile di lettera da inviare al proprio istituto di credito, con diffida a continuare nel comportamento fraudolento. I requisiti sono: essere andati in passivo su un conto corrente chiuso non più di dieci anni fa (o tuttora attivo) e presentare copia originale degli estratti conto. E in caso portare in giudizio l’istituto inadempiente. Ma attenzione, anche su questo le banche potrebbero marciarci: questi documenti sono a titolo oneroso, e gli istituti di credito arrivano a chiedere anche dieci euro per foglio. Se si tratta di estratti conto di diversi anni, il costo diventa considerevole. Insomma, non si sa mai cosa ti faranno pagare, e cosa di quei conti è veramente legittimo.
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