Le parole del Papa e la «sofferenza» dei gay cristiani - Diritto di critica
- Andrea Tornese+
- 27 Novembre 2010 Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
«I nostri obiettivi sono chiari: da un lato mettere a disposizione un luogo accogliente dove una persona omosessuale cristiana possa fare un percorso di riconciliazione tra la propria Fede e la propria omoaffettività, percorso che, ahimé, solo gruppi come il nostro offrono in questo momento; dall’altro dialogare con le comunità cristiane, parrocchiali e non, per fornire spunti di comprensione sull’accoglienza delle persone omosessuali». Questo è la missione di Nuova Proposta, “donne e uomini omosessuali cristiani” (nella foto al Napoli Pride 2010), riassunta nelle parole di Andrea Rubera, il suo presidente. L’associazione ha da poco compiuto “i suoi primi venti anni” e Andrea l’anno prossimo festeggerà 25 anni di vita insieme a suo marito, Dario, con il quale si è sposato il 9 dicembre scorso in Canada.
Le recenti dichiarazioni del Papa contenute nell’ultimo libro intervista non contengono nessun elemento di novità. Ma forse qualche commento vuoi farlo comunque: trovi delle differenze rispetto al passato? Leggendo le anticipazioni, soprattutto quelle che escludono le persone gay dal disegno divino, a chi è andato il vostro primo pensiero?
Il mio personale primo pensiero è andato alle ragazze e ai ragazzi omosessuali credenti che hanno ascoltato queste parole e che sono purtroppo ancora oggi in una situazione di totale isolamento e vivono in solitudine il loro tentativo di coniugare due aspetti fondamentali dell’esistenza, che costituiscono altrettanti mattoni fondamentali dell’identità: la Fede e l’orientamento affettivo. Penso a cosa possono avere provato nel sentire definire la loro esistenza “moralmente ingiusta” e alla ferita profonda che si può essere generata.
Mi sono rivisto nella sofferenza che ho provato io da adolescente nel prendere coscienza della mia omosessualità e nel non trovare alcun appiglio per orientare in maniera pacificata questo conflitto. Troppo spesso, infatti, e anche questa volta, parlando di omosessualità lo si fa ragionando per categorie astratte, legate all’etica e alla morale cattolica, e nel farlo si tralascia l’effetto che queste stesse parole hanno sulle persone che ne sono destinatarie, soprattutto gli adolescenti. Nella maggior parte dei casi si gettano questi ragazzi nella disperazione perché vedono bollata con una lettera scarlatta indelebile la loro esistenza.
Nella parole del Papa sull’omosessualità, purtroppo non vedo molta novità… Si continua a considerare l’omoaffettività solamente sotto il profilo “sessuale” quando, invece, andrebbe inquadrata, in maniera più ampia ed esaustiva, sotto l’aspetto dell’affettività.
Insieme alla condanna dell’omosessualità, c’è un monito contro la discriminazione delle persone gay. Considerando che, in linea con la lettera del 1986 sulla “sulla cura pastorale delle persone omosessuali” della Congregazione per la dottrina della Fede, si tende a proporre un approccio compassionevole e mai di reale accettazione, credi che sia sufficiente? Ci sono molti che ritengono che l’immutata serie di condanne non faccia che alimentare i sentimenti omofobici, sei d’accordo?
La posizione del magistero su questo tema mi sembra piuttosto inequivocabile: c’è una scissione netta tra condizione omosessuale e esercizio della sessualità omosessuale. Se da un lato si raccomanda l’accoglienza “caritatevole” delle persone omosessuali, dall’altra si ribadisce la necessità di stigmatizzare “l’esercizio della sessualità”.
Credo che in qualche modo questo possa contribuire all’affermazione di sentimenti omofobici in quanto, in base a questo ragionamento, la persona omosessuale viene vista sotto una luce di persona per cui non è previsto il pieno sviluppo della persona, sviluppo che sappiamo poter prevedere l’affettività e, all’interno di essa, la sessualità.
Gli effetti maggiori, tuttavia, li vedo sulle persone omosessuali credenti, molte delle quali, purtroppo, tendono, sulla base di questa visione dell’omosessualità, a vivere in maniera pericolosamente dissociata la loro affettività, relegando il loro essere omosessuali all’esercizio di una sessualità vista come “caduta” e non all’interno di uno sviluppo completo di un’affettività feconda. In questo modo, la sessualità diventa un “nemico”, qualcosa da fare in maniera nascosta, casuale, un’esigenza genitale incontenibile dopo il cui esercizio piombare nello sconforto. Quanto sarebbe più facile, invece, se affettività e sessualità fossere conciliate in maniera serena, prevedendo la possibilità per una persona omosessuale di immaginare per la propria esistenza, qualora lo voglia, un disegno di amore anche come sviluppo di un progetto di coppia!
A proposito di percorso pastorale e di accompagnamento spirituale, non trovi che ci siano delle assonanze con le teorie praticate da associazione come il Narth di Joseph Nicolosi? Anche lì si pretende di “curare” le persone gay attraverso la religione…
Direi di no, in realtà. Il fenomeno delle teorie riparative non credo venga incoraggiato dalla Gerarchia Cattolica. Ritengo sia un fenomeno per fortuna di nicchia e che trova sostegno all’interno di movimenti cattolici fondamentalisti.
Le teorie riparative sono state ufficialmente “sconfessate” anche da buona parte degli psichiatri/psicologi cattolici proprio perché è diffusa ormai la consapevolezza che non ci sia nulla da “riparare” perché nulla è “rotto”, ma piuttosto sia necessario promuovere un percorso di serena accettazione per uno sviluppo pieno della propria persona.
Nel libro c’è un parallelismo tra il celibato dei preti e il divieto per i gay a prendere gli ordini. Non trovi che sia infelice accostare l’omosessualità a una scelta, come quella della castità?
Credo che il problema vero non sia accostare l’omosessualità alla castità, quanto pensare che l’eventuale scelta di castità non possa essere appannaggio di una persona omosessuale che voglia diventare sacerdote. La sessualità, omo o eterosessuale che sia, si muove con dinamiche personali e, francamente, pensare che la scelta di “celibato” di un eterosessuale sia più valida di quella di un omosessuale mi lascia molto perplesso proprio perché implicitamente posiziona su una scala valoriale diversa le due condizioni. Non trovo nulla di strano se una persona omosessuale si senta spinta alla scelta di castità e a diventare sacerdote, se questo proviene da una pulsione reale, da una vocazione e da una scelta serene, e non da una forzatura.
Oltre ai preti noti per la loro disponibilità, che arriva a livelli di vero “attivismo gay”, come don Franco Barbero, avete contatti con altri sacerdoti?
Abbiamo delle serie difficoltà a contattare le parrocchie o religiosi in genere. C’è qualche parroco, qualche religioso o religiosa più “illuminati” che ci ascoltano, ci offrono degli stimoli di riflessione e ci danno un grande aiuto soprattutto nell’offrirci un’immagine di Dio come Padre misericordioso, ma si contano veramente sulle dita di una mano.
Purtroppo nei confronti di gruppi come il nostro credo ci sia ancora un certo pregiudizio e una paura che francamente non mi spiego. Temo che pensino che vogliamo in qualche modo creare dei “gruppi paralleli” di cristiani omosessuali. In realtà nulla è più lontano dalla nostra volontà: saremmo ben lieti di non esistere più qualora ci fosse una pastorale seria per le persone omosessuali e quando una persona omosessuale potrà vivere serenamente la sua condizione di Fede e di affettività all’interno della sua comunità cristiana. Questo pregiudizio fa sì che questo cammino dobbiamo costruircelo da soli, senza l’aiuto di nessuno.
Ogni anno scriviamo alle oltre 300 parrocchie romane per fornire aggiornamenti sia sul nostro programma di incontri sia fornire spunti di riflessione sulle difficoltà che possono incontrare le persone omosessuali cristiane. A queste nostre comunicazioni hanno finora risposto ufficialmente solo tre parrocchie. Molte di più ci hanno chiesto di non inviare più loro alcuna comunicazione perché le hanno ritenute ora “offensive”, ora addirittura “dissacranti”. Mi chiedo cosa ci sia di dissacrante nel proporre uno spunto per l’accoglienza delle persone.
Noi di Nuova Proposta amiamo definire il nostro gruppo una “locanda”; questa metafora ci è sempre piaciuta proprio perché dà il vero senso del nostro servizio: cerchiamo di essere un luogo caldo ed accogliente dove chiunque possa fermarsi per ristorarsi, magari solo per un pasto caldo o per abbeverarsi e poi ripartire, oppure per fermarsi un tempo più lungo, qualora la fatica del suo cammino sia stata più forte e i tempi di recupero più sostanziosi.
E salendo di grado, avete qualche tipo di rapporti?
Nuova Proposta negli anni ’90 ha avuto un percorso di incontri con un vescovo, Mons. Riva, particolarmente illuminato. Questi incontri sono stati sempre a carattere “ufficioso”, sebbene molto fecondi.
Da qualche anno, inoltre, scriviamo regolarmente al cardinale Vicario perché, sentendoci parte della chiesa, popolo di Dio in cammino, riteniamo utile informarlo delle nostre attività. A luglio scorso siamo stati ufficialmente ricevuti in Vicariato dal card. Vallini. E’ stato un incontro importante e sereno. Abbiamo avuto modo, credo, di dissipare alcuni dubbi e di ribadire le finalità del nostro gruppo, di parlare del problema reale dell’isolamento che un adolescente omosessuale, a maggior ragione se cristiano, vive nel sentirsi ovunque “fuori posto”, in casa, a scuola, in parrocchia e come questo isolamento, se non affrontato con lo strumento dell’Amore, possa sfociare, con un’incidenza purtroppo preoccupante, in depressioni, ossessioni e addirittura nel suicidio, come si evince dalgli ultimi terribili fatti di cronaca.
Ovviamente il cardinale ha ribadito la posizione ufficiale del Magistero ma ci ha anche lasciati dicendoci che se riusciremo a far capire alle persone che arrivano al nostro gruppo che Dio le ama, avremo fatto un buon lavoro. Ci è sembrato un messaggio incoraggiante in qualche modo. Anche se è chiaro che i tempi non sono purtroppo ancora maturi, può essere l’inizio di un dialogo importante, se lo faremo da entrambe le parti veramente con l’obiettivo di porci alla sequela dell’Amore che ci invita a guardare all’altro non come un essere da annientare e mortificare ma come oggetto del nostro Amore e del nostro servizio, ad ogni costo, oltre ogni “ragionevolezza”…
E per noi è talmente vero che ne abbiamo fatto la nostra ragione di vita, scegliendo come nostro motto le parole di San Paolo quando scrive: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.”
Cosa pensi del recente reportage di Panorama sui preti gay?
Bah… sono sempre molto perplesso nei confronti di questi reportage che puntano agli aspetti “morbosi” del problema… Non credo che fare “outing” su preti omosessuali che frequentano chat o locali a sfondo erotico sia un buono strumento. Mi sembra in qualche modo una violenza gratuita nei confronti di persone che, in linea teorica, non stanno commettendo “reati”.
So di sacerdoti che, dopo reportage come questo, sono piombati nella disperazione e nello sconforto perché temono di essere allontanati o cacciati. Ritengo che ogni nostra azione si misuri sulla base dei frutti: se il frutto di questi reportage è solo quello di rendere disperate delle persone, senza incidere in alcun modo sull’accoglienza delle persone omosessuali, allora me ne chiedo il senso. Inoltre, questo taglio giornalistico non fa altro che ribadire un concetto secondo me sbagliatissimo: inquadrare l’omoaffettività solo, come ho già detto, dal punto di vista della sessualità nascosta, rubata, di cui ci si vergogna.
Sarebbe diverso forse se l’outing fosse relativo confronti di sacerdoti esplicitamente omofobi che, poi, venissero scoperti essere omosessuali “praticanti”. In questo caso il dito l’enfasi sarebbe non sul loro essere omosessuali ma sull’incoerenza dei loro pronunciamenti. E questo avrebbe un valore differente.
Credo che i giornalisti farebbero comunque meglio a raccontare storie di “affettività” che, credimi, sono molto più frequenti di quello che si pensi.
Non credo si risolverà in questo modo la questione dell’accoglienza delle persone omosessuali da parte della Gerarchia Cattolica, perché il problema non sta nel rendere noto che esistano dei sacerdoti omosessuali, quanto piuttosto “denunciare” l’inesistenza di un percorso di accoglienza per gli omosessuali cristiani.
Non sono pochi i fedeli cattolici che, in risposta alle critiche della comunità lgbt, invitano le persone omosessuali ad allontanarsi definitivamente dalla fede cattolica piuttosto che crearsi una “religione fai da te”. E’ difficile pensare che ragionino da credenti, considerando che tutta la teologia cattolica descrive la fede come un Dono di Dio. Cosa ti senti di rispondergli? E cosa pensi di quelle persone gay e lesbiche che iniziano a seguire la Chiesa Valdese, o altre chiese protestanti, perché meno ostili o addirittura del tutto aperte all’omosessualità?
Credo fermamente che la Chiesa siamo tutti noi e non solo la Gerarchia. Come ci ricorda san Paolo, ognuno di noi è una parte del corpo della Chiesa e tutti contribuiamo al suo funzionamento.
La vedo come un’entità molto più in movimento di quello che possa apparire e molto più estesa.
I tentativi di ecumenismo che si stanno facendo a partire dal Concilio Vaticano II vanno in questa direzione: nel riconoscerci tutti parte di una stessa Chiesa in quanto figli di Dio.
Preferisco, ma è la mia opinione personale, continuare a pensarmi come “parte della comunità” piuttosto che cercare altri contesti dove sentirmi esattamente “accettato”. Il mio impegno va nel far capire alla comunità cattolica come, dove, quando e perché ci sia bisogno di un’accoglienza per le persone omosessuali, piuttosto che andare altrove.
Io voglio rimanere perché troppe persone omosessuali ancora oggi abbandonano la propria Fede in Cristo perché si sentono giudicate dalla Gerarchia. Vogliamo cercare di far sì che non si rinunci ad un bene così importante come la Fede.
Molte volte ci dicono: “Ma come fare a essere cristiani con tutto quello che dice la Chiesa degli omosessuali?”… A questa domanda noi rispondiamo invitando a leggere il Vangelo e il messaggio di Amore e inclusione incondizionati che Gesù ci propone e che ha una portata talmente generatrice di Vita che non si può “abbandonare” solo per i pronunciamenti di alcuni rappresentanti della Chiesa.
Se ce ne andassimo tutti, come potremmo contribuire al cammino evolutivo della Chiesa Cattolica?
Il nostro personale invito a tutte le sorelle i a tutti i fratelli omosessuali cristiani è a non mollare, a non gettare alle ortiche la propria Fede, a mantenere vivo dentro di sé questo fuoco, nonostante tutto, nonostante tutti…
Perché se si ha Fede non si può fingere di non averla: è una sorgente che sgorga libera dentro di noi, e rinunciarvi è forse solo un’operazione posticcia che rischia di generare solo una frattura interna, una scelta coatta che porta al rancore, che è un’energia negativa di cui dobbiamo tutti cercare di liberarci…
Dopo 24 anni di fidanzamento con Dario vi siete sposati in Canada. Non credi che sia davvero “troppo”? Avete ricevuto disapprovazione da altre persone gay credenti?
Francamente no. Io e Dario siamo cresciuti insieme: siamo stati il primo e l’unico per entrambi. Ci siamo inventati il modo di stare insieme. Abbiamo coltivato con amore la nostra storia, e non è stato un percorso facile. Per molti anni l’abbiamo vissuta in segreto, senza dirlo a nessuno, con la “consegna del silenzio”. Per gli altri eravamo due amici. Poi abbiamo maturato la consapevolezza del fatto che ci stavamo infliggendo una terribile violenza e allora abbiamo cominciato ad aprirci agli altri. E’ stato tutto molto naturale e non abbiamo avuto alcun problema.
Sposarci è stata un’evoluzione naturale del nostro rapporto. Ci sentivamo sposati già da tempo ma abbiamo voluto concederci anche un momento simbolico, tutto per noi. Purtroppo in Italia non è possibile aspirare a niente di vicino allo sposarsi e allora siamo volati in Canada, dove abbiamo esperito la “normalità” di essere una coppia.
La cosa più stupefacente è stata il constatare come, in quanto coppia gay, eravamo veramente “invisibili”… Per gli impiegati del comune di Toronto eravamo solamente una coppia che voleva sposarsi. Dopo la cerimonia, abbiamo scattato qualche foto fuori al Comune… E’ stato incredibile vedere i passanti, di ogni età e genere, che ci facevano le congratulazioni come ad una qualunque coppia di sposi.
Bello, molto bello… E’ una sensazione difficile da spiegare quella di sentirsi per una prima volta “trasparenti” per quanto riguarda il proprio orientamento affettivo.
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Novembre 28, 2010
VINCENZOE’ apprezzabile e rispettabilissima la posizione di queste – e sottolineo queste – persone omosessuali che, per fortuna, hanno di che distinguersi dalla non felice immagine e buona volontà che gran parte degi omosessuali purtroppo ostentano. Ritengo che il Papa, nel suo messaggio, voglia rivolgersi proprio a questi ultimi. Ma mi sia consentita una osservazione. Il Papa è il rappresentante della Chiesa Cattolica e credo che un Cristiano Cattolico, comunque, debba sapere cosa significhi “sposarsi”, ovvero unirsi nel Sacramento del Matrimonio. Capire questo è fondamentale per qualsiasi Cattolico. Grazie per l’attenzione.
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Novembre 29, 2010
AndreaCaro Vincenzo,
purtroppo non tutto si può spiegare e significare.
La sostanza delle cose va ben oltre il loro nome. E la sostanza del rapporto che, nella mia vita, ho esperito con Dario in questi 25 anni va ben oltre la modalità di denominazione.
E’ difficile da capire e da spiegare, lo so, ma è così…
Se ci concentrassimo più sulla sostanza delle cose, a partire dalle storie personali, più che su come vogliamo chiamarle o etichettarle, sarebbe tutto più facile.
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