Ijin, una “coreana di seconda generazione” di fronte allo scontro tra Coree - Diritto di critica
«Mi sono subito allarmata e mi sono messa a cercare freneticamente notizie su internet. Ma stavo facendo girare un programma di statistica, per la mia tesi, che mi rallentava il computer, così mi sono precipitata nello studio del professore per seguire gli aggiornamenti dal computer lì. Il prof e una collega mi hanno guardato super flemmatici e interdetti dalla mia ansia». Comincia così il racconto di Ijin, 31 anni, dottoranda in social welfare all’università Yonsei di Seoul. Concentrata sullo studio, viene a sapere del bombardamento nordcoreano dell’isola di Yeonpyeong, al confine tra le due nazioni, da un suo amico, in chat.
Passaporto italiano, Ijin è nata a Roma da genitori coreani. Dopo la laurea in sociologia alla Sapienza, nel 2006, decide di trasferirsi a Seoul. Ora sorridendo si definisce «una coreana di seconda generazione».
Ijin, il tuo professore e la tua collega sapevano già dell’attacco nordcoreano?
Lo sapevano, ma minimizzavano. Anche quando hanno saputo dei morti civili sono rimasti un po’ stupiti, ma non direi sicuramente allarmati. D’altronde un coreano tipico di fronte a questi eventi ti risponderebbe: ‘guarda, sono 60 anni che viviamo così, passerà anche questa’.
Ma oltre lo sguardo interdetto, ti hanno detto qualcosa?
Sì sì, mi dicevano di non preoccuparmi. Dopo un po’ la collega mi ha offerto della cioccolata! (ride) E alla fine il professore ridendo mi ha consigliato di tornare in Italia!
E hai preso in considerazione questo “consiglio”? Su Facebook ho letto che ora giri sempre con il passaporto in tasca…
Devo, sono cittadina italiana e devo averlo sempre con me: se ci sono emergenze tali da richiedere l’evacuazione devo essere sempre pronta a partire. Anche se per questo attendo comunicazioni dall’ambasciata italiana.
Di fronte alla loro tranquillità non riuscivo a calmarmi, perché mi sembra che non siano molto obiettivi. Saranno pure abituati ma, rispetto al passato, questa volta c’è anche il cambio di regime al Nord… il tutto mi sembra molto più instabile e preoccupante.
Il passaporto italiano ti dà anche sicurezza…
Sì, sapere che posso tornare mi aiuta. A parte il governo e i media (insomma non stiamo messi bene!), so che l’Italia ha comunque una tradizione democratica più solida, questo ti dà sicurezza. Anche la Corea del Sud è democratica, ma solo dal 1987…
A proposito di media, leggo sull’Ansa che da Pyongyang la notizia del bombardamento è stata data con un secco comunicato dell’esercito nordcoreano, in un edizione normale del tg, tra i messaggi di congratulazione a Kim Jong-il da parte di “amici esteri” e accurate previsioni meteo…
Qui non vediamo la televisione nordcoreana ma al nostro tg hanno passato uno spezzone di quello di Pyongyang: parlavano in maniera concitata proprio come stile del tg… ma era tutto un tono del tipo “come hanno osato attaccarci!”
Leggo pure che gli scontri non hanno sconvolto la vita in Corea del Nord…
Non sappiamo niente di quello che è successo nel Nord, ma qui si pensa che i danni siano stati maggiori dalla loro parte.
E nel Sud? Come è stata l’informazione?
Martedì ci sono stati speciali con aggiornamenti e breaking news per tutto il giorno. Ora, come ho scritto su Facebook per rassicurare gli amici in Italia, sembra tutto abbastanza normale: penso che passato il primo momento di panico sia rimasto un clima d’attesa.
Ma come viene descritto l’evento? Dopo la notizia dei morti civili il livello d’allarme è cambiato?
I nostri telegiornali palano di “provocazione” e riferiscono che, al contrario di quello che dice il regime, da parte nostra non ci sia stato nessun attacco.
Sai, a parole dicono che è molto grave e che vanno presi provvedimenti, però è come se tutti fossero rinunciatari già in partenza. Per esempio, anche a marzo con il siluramento della corvetta Cheonan, ci furono 46 morti e tutti si sono fatti grandi pianti, tutti hanno celebrato gli eroi… E poi hanno girato pagina.
A livello politico, poi, il nostro presidente, Lee Myung-bak, che è di centrodestra, deve far quadrare una posizione severa di condanna e minacciare una possibile rappresaglia – per far contenti i suoi sostenitori di destra guerrafondai – ma allo stesso tempo deve evitare la guerra, per non mettere a repentaglio il benessere economico raggiunto. Come fai a fare la voce grossa quando hai le mani legate? E’ uno strano gioco delle parti, penso che le cose possano precipitare anche se paradossalmente nessuna delle due parti vuole davvero una guerra. Io intanto continuo a tenermi informata… e a portarmi appresso il passaporto!
Tu che idea ti sei fatta?
Beh, penso che abbiano iniziato loro. Perché è una tattica che adottano sempre, come con la Cheonan. Da quando sono qui, considerando quell’affondamento, quello di martedì è la seconda grande crisi che vivo. Ho avuto molta paura anche se so che è tipico da parte loro fare questo tipo di attacchi: la Corea del Nord non è nuova a questa strategia del tirare il sasso e ritirare la mano, per tenere la sua popolazione ostaggio del regime in una situazione di continua emergenza.
Il livello di allarme è generalmente basso, il che mi stupisce perché stavolta le modalità di attacco avevano proprio il sapore di una guerra.
Ti definisci una “coreana di seconda generazione”, sei nata e cresciuta a Roma e qui hai studiato fino alla laurea. Come vivi questa situazione di instabilità politica?
Pur avendo genitori coreani, arrivata a Seul, 4 anni fa, lo shock culturale è stato molto forte. Sono preoccupata e invece se parli con la gente qui è scettica, rassegnata, fatalista. In generale, poi, trovo che i coreani siano irragionevoli e autoreferenziali, hanno uno spirito tutto particolare e credo che sia dovuto al fatto che hanno vissuto isolati per secoli, stretti tra due potenze.
I tuoi genitori ti hanno mai parlato della situazione tra le due Coree, della minaccia del Nord?
In Italia parlavo spesso di queste problematiche con i miei genitori e con i preti coreani che venivano a studiare a Roma. E comunque mi sono documentata anche da sola.
I miei sono di destra, soprattutto mio padre… lui si può dire che sia vicino a posizioni guerrafondaie, è frustrato dal fatto che il Sud debba sempre subire. E i preti coreani, che sono per la maggior parte di sinistra, predicavano l’importanza della coesistenza pacifica e del compromesso. Adesso però è tanto che non ho contatti con loro e in generale la sinistra in corea è abbastanza allo sbando…
E di quest’ultimo attacco i tuoi genitori che dicono?
Li ho sentiti il giorno stesso, sono preoccupati ma sono coreani… anche loro non sono particolarmente allarmati.
Ti sei tranquillizzata pure tu?
Sì, continuo a tenermi informata… e a portarmi appresso il passaporto! (e con un sorriso di distensione chiudiamo la videochiamata)