Caso Franceschi: Carla Bruni, perché mio figlio è morto in carcere? - Diritto di critica
“Daniele non ha organi, mancano gli occhi, il fegato la milza, persino il cervello. Il naso è fratturato, la decomposizione è in stato avanzato”. Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, non si dà pace per l’amara sorte del figlio nel carcere di Grasse, morto “ufficialmente” per un infarto il 25 agosto scorso, ma sul cui decesso stanno indagando la magistratura francese e quella italiana.
Al rientro in patria della salma del trentaseienne viareggino giovedì scorso, la mamma e l’avvocato di famiglia Aldo Lasagna non hanno nascosto l’amarezza e la disperazione per l’accaduto: “La verità – spiega il legale – è che le autorità francesi non hanno mantenuto i patti che avevano fatto con la Farnesina. Il corpo sarebbe dovuto rientrare in Italia integro, cosa che non è avvenuta”.
Il riferimento è alla mancata ibernazione della salma di Franceschi, che ne avrebbe permesso la conservazione. Il giudice transalpino Sandrine André aveva disposto con un’ordinanza che il corpo del carpentiere navale fosse conservato ad una certa temperatura sotto lo 0 (-22°), ma il commissariato di Grasse non ha mai comunicato quest’ordine all’istituto di medicina legale dell’ospedale Pasteur.
Intanto, l’inchiesta della magistratura francese va avanti. L’ipotesi di reato per ora spaziano dall’omissione di soccorso alla colpa professionale. L’avvocato Francoise Gonzales, che assiste la famiglia Franceschi in Francia, ha avuto i risultati dell’esame sul defibrillatore usato dagli infermieri del carcere per soccorrere il giovane. “E’ stato usato sei volte tra le ore 17 e le 18 – spiega il legale – e ciò significa che Daniele era vivo e non morto, come detto in un primo momento”. Erano stati due detenuti del carcere di Grasse nella cella 280, l’ex pompiere Gilles Guirado e Michael Paret, a dire che alle ore 17 di quel maledetto 25 agosto avevano sentito urlare nella radio “urgenza medica”, prima di appurare che i medici del carcere non riuscivano a trovare il defibrillatore. Solo alle 17.54 i due condannati nella cella accanto avrebbero udito il primo massaggio cardiaco, praticato a mano su una barella che cigolava. Alle 18.09, secondo la loro ricostruzione annotata con tanto di orario, tutto il personale sarebbe andato via dalla cella con la polizia e medico legale che sarebbero giunti sul posto circa un’ora dopo, alle 19.10. Da chiarire cosa accadde dopo 20. Presero con loro il corpo esanime di Daniele o lo lasciarono in cella?
In Italia prosegue l’inchiesta e la procura di Lucca ha disposto un nuovo esame necroscopico, nell’ambito del fascicolo aperto contro ignoti. Il primo esame sul corpo del giovane ha stabilito che il naso è fratturato, un riscontro che contraddice l’autopsia francese secondo la quale non erano state riscontrate fratture.
E proprio in occasione dell’autopsia fatta dai medici transalpini non fu autorizzato l’ingresso al consulente legale Lorenzo Varetto. Un’altra circostanza da chiarire.
L’ultimo capitolo della vicenda si arricchisce di un disperato appello rivolto da Cira Antignano alla première dame Carla Bruni, tramite una lettera pubblicata su Repubblica dal titolo “Giustizia per il mio Daniele, non era un delinquente”.
La donna mercoledì scorso è stata arrestata e malmenata dalla polizia (tre costole rotte) davanti al carcere francese dopo aver esposto uno striscione a caratteri cubitali, in francese ed in italiano: “Assassins” e “Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte”. La mamma di Daniele con la cugina Grazia Biagini erano state rilasciate poco dopo, grazie all’intervento del console italiano a Nizza, Agostino Chiesa Alciator.
Il carpentiere trentaseienne Daniele Franceschi era finito nella prigione di Grasse nel febbraio scorso. Incolpato di aver esibito una carta di credito falsa per acquistare fiches in un casinò della Costa Azzurra, non era stato mai processato.
Durante la detenzione in carcere aveva scritto diverse lettere alla mamma nelle quali denunciava le violenze subite dai secondini. Pochi giorni prima di morire aveva chiamato alcuni parenti con un telefonino che si era procurato in carcere. Dopo la morte la madre di Daniele riuscì a vedere il volto del figlio e le apparve “rigonfio”, come se fosse stato percosso in seguito a maltrattamenti.
E per l’associazione francese Ban Public, Daniele Franceschi è l’ottantaseiesima morte sospetta dall’inizio dell’anno nelle prigioni francesi. “Non siamo sorpresi delle violenze sulla mamma di un ex detenuto – commenta il presidente Milko Paris, contattato da Repubblica –. E’ il classico metodo: intimidire o minacciare le famiglie delle vittime per metterle a tacere. Ma la famiglia Franceschi – conclude Paris – deve chiedere un’autopsia tossicologica, insieme ad un’inchiesta indipendente della commissione per la deontologia e la sicurezza delle carceri”.
Ma ora fare un’autopsia su un corpo senza occhi, fegato, milza e cervello quali risultati potrà dare?
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