Operai e studenti in piazza senza scontri - Diritto di critica
- Sirio Valent+
- 17 Ottobre 2010 Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
Una manifestazione oceanica, colorata, rumorosa. La Fiom e la Cgil hanno attraversato Roma senza scontri e senza danni, riempiendo all’inverosimile piazza S.Giovanni. Chi c’era ha vissuto un’atmosfera di festa, lontana anni luce dalle paure di Maroni. E con un epilogo inaspettato, o forse no, per Epifani.
Il percorso. “Siamo partiti da via Gioberti e non ci fermiamo più”. Un manifestante quarantenne lo diceva al telefonino, forse ad un compagno del corteo di piazzale Ostiense. Ed è andata proprio così. Nessun intervento per le dieci camionette di polizia e carabinieri: il servizio d’ordine dei metalmeccanici ha garantito una sfilata pacifica e responsabile. Come dirà più tardi Andrea Rivera dal palco, “gli scontri, come gli operai, li hanno delocalizzati in Serbia”. E la pioggia, caduta a tratti durante il pomeriggio, non ha provocato defezioni di massa.
Corteo pacifico, quindi, ma non fiacco. I fischietti si son fatti sentire sempre, mentre sfilavano gli operai di tutta Italia (da Belluno a Ragusa, non mancava nessuno) sotto i balconi di piazza Vittorio Emanuele e viale Manzoni. Lettere a grandezza d’uomo portate dagli stessi manifestanti si fermavano a tratti regolari sul percorso e lasciavano sfogare fotografi e cameraman: poi riprendevano il cammino, cantando cori di lotta e di resistenza contro Marchionne e Confindustria. La rabbia c’era e si sentiva, ma è rimasta sotto pelle, o al massimo nelle parole.
Alcuni politici sono stati avvistati, accerchiati, acclamati. Antonio di Pietro è stato avvistato in piazza dei Cinquecento, trafelato e un pò disorientato nella folla generale: se ne son perse presto le tracce. Nichi Vendola, dopo il consueto capannello di giornalisti e curiosi, è entrato a passo sostenuto nel corteo, unendosi agli operai di Termini Imerese (quelli con la scritta LAVORO portata a mano). Per trenta, quaranta metri fotografi e operatori video hanno camminato come gamberi per riprendere la scena.
Ma i protagonisti non sono stati i politici, e nemmeno le bandiere (c’era, in ordine numerico, Fiom, Cgil, Rifondazione Comunista, Sinistra Ecologia e Libertà, Idv, e infine Pd). Le star sono state famiglie intere, con bandiere sulle spalle e caschi rossi da operaio in testa; sono state le maschere bianche sulle magliette (nere) degli ex lavoratori Eutelia; sono stati gli studenti, medi e universitari, che hanno saldato la loro protesta a quella dei metalmeccanici. Nelle parole di Flores D’Arcais, direttore di MicroMega, “qui c’è tutta l’Italia che lotta, dagli studenti dell’Onda alle operaie tessili dell’Omsa, dalle associazioni antimafia ai precari, ai metalmeccanici, agli immigrati”. Anche loro c’erano: una delegazione di Castelvolturno (Caserta) ha portato in piazza S. Giovanni striscioni e cartelli resi noti dallo sciopero anti caporalato dell’8 ottobre, come quello che recita “oggi non lavoro per meno di cinquanta euro”.
Il palco. La coda del secondo corteo arriva a S.Giovanni alle quattro e mezza, in tempo per ascoltare gli ultimi 4 o 5 relatori. Cecilia Strada porta la partecipazione di Emergency, i tre operai di Melfi la presenza convinta del Sud operaio. Ma è Maurizio Landini, leader della Fiom, il più applaudito. Parla della crisi, contesta la sua cattiva gestione da parte di governo e industriali, il tentativo di scaricarla sulle fasce di reddito più basse. Difende i no della Fiom al “sistema Marchionne”, spiegando e motivando i rifiuti con un appello alla coerenza. “Chi ci ha portato alla crisi non può ora dirci che sa come risolverla: dopo due anni di promesse di falsi ottimismi non ce la possono dare a bere”, grida Landini dal palco, sovrastato da cori e applausi. E conclude con una speranza: “La novità di oggi è il terreno comune, l’unità di persone diverse e di storie di lotta diverse: non disperdiamola”.
La sorpresa arriva subito dopo, quando entra in scena Guglielmo Epifani. Il leader è alla sua ultima apparizione in veste di segretario del sindacato, il 22 ottobre scadrà il suo mandato. Eppure l’accoglienza è fredda, in parte ostile. Una quarantina di contestatori scandisce, per tutto il tempo dell’intervento, il coro “sciopero generale” da sotto il palco. Molti manifestanti abbandonano le prime file e innescano una lenta ma continua fuga. Epifani tira dritto con il suo discorso ragionato, tutto sommato aderente a quello di Landini. Ma non piace. O forse è lo stesso segretario Cgil a non piacere più. Mancano pochi minuti alle sei quando si alza un cartello contro di lui: “Epifani come la Cisl”. Gli si rimprovera di essere troppo tenero, di aver mollato. Alla fine del discorso cede, dice la parola magica: “se le cose non cambieranno andremo avanti fino allo sciopero generale”. Boato di approvazione, ma subito il leader uscente mette le mani avanti: “prima vediamo come va la manifestazione confederale del 27 novembre. Lo sciopero generale è un’arma di lotta, ma non è l’unica, ed è un grande sacrificio per i lavoratori”. Convince solo a metà e non si salva dalla contestazione. Il suo intervento si chiude su un applauso breve, punteggiato di fischi e dissenso. I manifestanti tornano a metro, treni e pulman: sono ancora le sei e mezza, ma è il momento di tornare a casa.
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