Dalla Romania all'Italia, una storia di riscatto - Diritto di critica
Se sei rumena in Italia puoi essere o una badante o una prostituta. La prima è una speranza per il permesso di soggiorno, la seconda è una schiavitù. E’ questa la percezione che una ragazza come Natasha, con l’unica particolarità di essere rumena e la ‘colpa’ della clandestinità, ha dell’Italia. Un giudizio tagliente, figlio di un’esperienza di vita e di integrazione ben diversa da quella che Natasha si sarebbe aspettata arrivando in Italia. E lo dice chiaramente: «quando sono arrivata nel ’99, nel vostro Paese non giungevano tanti stranieri come oggi. C’erano più diffidenza e paura».
Dopo un’infanzia vissuta sotto la dittatura comunista di Ceauşescu, Natasha ha la possibilità di frequentare l’istituto biochimico ed ottenere il diploma grazie ad una borsa di studio: «la mia famiglia era povera -spiega- ma sono stata fortunata perché ho potuto studiare in città. Era una vita molto spartana: avevamo l’acqua calda solo una volta alla settimana e alle nove già si dovevano spegnere le luci». Nelle estati del ’90 e del ’91, a nove anni, Natasha aveva partecipato ad uno scambio con l’Italia, vivendo per qualche mese presso una famiglia di Lumezzane, in provincia di Brescia. «Questa famiglia mi ha aiutato molto anche negli anni successivi. Mi mandava soldi, regali e vestiti, ma non bastavano per rendere la vita meno grama. Non avevo praticamente niente».
Dopo aver tentato, senza successo, di essere ammessa alla facoltà di geografia, Natasha si iscrive ad un corso post liceale di contabilità, della durata di tre anni. «Ne ho fatto solo uno, perché poi ho deciso di venire in Italia. Era il 1999, avevo 19 anni». Già alcuni ragazzi del suo paese hanno tentato di raggiungere di nascosto l’Italia: negli ultimi anni ’90 è infatti quasi impossibile vedersi rilasciare un visto e si può lasciare la Romania solo clandestinamente. Il fatto di avere contatti abituali con una famiglia italiana rappresenta per Natasha un punto di partenza più stabile di quello di altri suoi connazionali, così decide di tentare l’emigrazione: «in Romania avevo solo la prospettiva di restare a lavorare nei campi con la mia famiglia -spiega – Volevo cercare qualcosa di meglio».
Si mette così in contatto con un sacerdote rumeno che sta organizzando un pellegrinaggio in pullman a Lourdes e riesce a ottenere il visto turistico con validità di un mese nei paesi Schengen. Durante il viaggio si fa lasciare a Lumezzane: uno ‘strappo’ costato 500 marchi, quasi l’intero gruzzolo che ha messo da parte negli anni grazie agli amici italiani. «Era notte fonda e non li avevo avvisati del mio arrivo -racconta- perché sapevo che non mi avrebbero accolta. Non mi hanno potuto lasciare in mezzo alla strada, ma il giorno successivo mi hanno portata dalla polizia. I clandestini -continua- facevano molta paura, anche se io per un mese ero perfettamente in regola. Questo loro non lo sapevano». Secondo quanto previsto dalla sanatoria del ‘98, se queste persone l’avessero assunta alle loro dipendenze nel ristorante di famiglia Natasha avrebbe automaticamente ottenuto il permesso di soggiorno regolare per risiedere in Italia, ma ciò non avviene. Trova invece impiego in nero come commessa in una libreria: un lavoro pagato appena 200mila lire al mese, con vitto e alloggio nella casa dei proprietari. «Erano parenti dei miei conoscenti di Lumezzane. – spiega la ragazza – Il problema con loro è sorto quando il marito della proprietaria ha iniziato a pretendere che io diventassi la sua amante. La situazione è diventata insostenibile, soprattutto perché lui mi ricattava con la promessa del permesso di soggiorno. Quando ho rifiutato di accettare le sue proposte sono stata licenziata».
Senza possibilità di mantenimento e quasi senza soldi, irregolare e non creduta dalla famiglia che l’aveva ospitata, Natasha si rivolge a due connazionali che abitavano nelle vicinanze e con cui in quei mesi è rimasta in contatto. Ma il loro aiuto ha un prezzo che Natasha non è disposta a pagare: «mi hanno proposto di diventare una prostituta, allettandomi con l’idea di un facile e rapido guadagno. Loro avrebbero messo a disposizione la casa e si sarebbero tenuti una parte dei soldi, mentre io avrei avuto il resto. Non nego di aver soppesato l’idea: ero disperata. Ma alla fine non è bastata la disperazione a farmi accettare simili compromessi».
L’unica alternativa rimasta a quel punto è il ritorno a casa: la fine di una speranza andata male. Raggiunge Piazza Castello a Milano, da dove partono i pullman per la Romania, ma l’autista non la lascia salire. «Non avevo i documenti in regola -spiega- quindi lui non poteva assolutamente prendermi, perché al confine con l’Austria gli avrei causato guai. Così -continua- non potevo stare in Italia né tornare a casa. Mi restava solo l’alternativa di consegnarmi spontaneamente alla polizia come clandestina».
Quella sera stessa si mette in contatto con altri amici di famiglia –una donna, il suo compagno ed il figlio- residenti a Milano, in zona Piazzale Corvetto, in casolari abbandonati e decrepiti dove vivono abusivamente moltissimi rumeni, stipati in minuscole stanzette con appena una branda, un fornello ed un secchio per i bisogni. La donna però si rifiuta di accoglierla nella sua stanza per la notte. «Se non fosse stato per suo figlio Sorin non so cos’avrei fatto», racconta la ragazza. «Mi ha accompagnato dalla famiglia di un suo collega e mi ha aiutato fin da subito a cercare un altro lavoro». Solo una settimana più tardi, Natasha viene impiegata come cameriera al servizio di una ricca famiglia milanese, dove però resta soltanto per pochi giorni perché costretta a turni sfiancanti e ad uno stile di vita alienante, pagata pochissimo e quasi costretta alla fame. «A noi cameriere –narra Natasha- davano da mangiare solo il fondo di prosciutto gelido e il padrone ci contava ogni boccone. Non potevo continuare così, mi stavo ammalando: eravamo praticamente schiave».
Torna così a piazzale Corvetto e per due settimane rimane costretta nella minuscola stanza di Sorin, senza poter uscire per paura di essere aggredita dagli altri abusivi del palazzo, fino a quando non trova un nuovo posto di lavoro come badante, a Clusone in provincia di Bergamo. «Non avevo mai fatto la badante, prima. – racconta- Eppure sapevo che dovevo farcela: se fossi tornata a Milano o in Romania avrei lasciato qualcosa di quasi certo, anche se difficile, per un futuro incerto e probabilmente molto triste. Così mi sono rimboccata le maniche e da dieci anni sono qui».
I primi due anni non sono affatto facili: da un lato, c’è la paura di uscire di casa per via della condizione di clandestina, e dall’altro la sensazione di solitudine sempre più acuta e insostenibile. Una solitudine combattuta nel corso degli anni con attività sempre più frequenti nell’oratorio del paese e nei gruppi parrocchiali, ma anche con corsi di teatro e in palestra, fino a sentirsi quasi completamente inserita nella comunità.
Adesso Natasha gestisce una classe di adolescenti come animatrice di oratorio. Ha il suo gruppo di amici, il permesso di soggiorno e una vita normale. «L’italiano è una lingua bellissima e tre anni fa ho presentato la domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Spero venga accolta: non ho fatto lo sbaglio di sposare un italiano solo per avere il permesso di soggiorno e non lo farò ora per ottenere la cittadinanza».
Le difficoltà non mancano di certo. Il lavoro di badante è ancora considerato precario nonostante l’alta percentuale di anziani in Italia, e questo impedisce a Natasha di ottenere dalla banca il prestito di cui avrebbe bisogno per comprare casa. «Inoltre – continua – l’assistenza agli anziani è ancora vista come un lavoro ‘da extracomunitari’. Una volta un ragazzo mi ha voltato le spalle quando ha saputo che svolgo questo lavoro». Un episodio banale, ma che rende evidente come non bastino le attività in parrocchia, un italiano perfetto ed un lavoro in regola per togliersi di dosso l’etichetta della ‘straniera’, soprattutto nei paesi di piccole dimensioni come Clusone. «Io voglio l’integrazione, – spiega la ragazza – sono entrata nel vostro modo di vivere e nella vostra comunità, come penso dovrebbero fare tutti gli stranieri». La sua considerazione sulla situazione politica attuale è glaciale: «Voterei Lega Nord – sostiene– perché è giusto che chi viene da un’altra cultura si adatti alla vostra. Eppure –continua- molte volte mi sento esclusa, come se non fossi considerata alla vostra altezza soltanto perché sono rumena. Molte persone non sanno nulla di me o della mia vita, ma si sentono il diritto di giudicarmi per la mia provenienza. Certi atteggiamenti fanno male».
Tuttavia Natasha non pensa di tornare in Romania: è in Italia che vede il suo futuro e le sue possibilità. «Ma non mi sento del tutto italiana. – spiega- Vorrei unire i due mondi che mi porto dentro, Italia e Romania, ma faccio fatica. Alla fine si rimane sempre un po’ in bilico tra ciò che si era e ciò che si diventa».
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per fortuna non tutti sono razzisti e voltano le spalle. nella fortuna, tanta sfortuna in questa storia.
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tu vota lega nord,cosi ti rimanda a calci in sedere in romania….mossa molto intelligente!
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Sei una ragazza molto intelligente….e hai un animo molto regale!!!!brava!!!!
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