Giornata mondiale del Rifugiato: le «vittime della speranza», quasi 15mila morti in dieci anni - Diritto di critica
L’esperimento potrebbe avere una sua utilità. Quanto meno a livello di consapevolezza della tragedia. Prendete un foglio di carta e iniziate a disegnare un tondino con una piccola linea sotto, aggiungete due braccia e due gambe. E andate avanti così, disegnatene un altro accanto. Poi un altro ancora. E un altro ancora. Fino ad arrivare a 14.788. Impiegherete diverse ore e riempirete diversi fogli di carta ma alla fine potrete dire di aver contato tutte le vittime dei viaggi della speranza che dai confini del mondo ricco e benestante cercano di entrare in quella che sempre più spesso viene chiamata Fortress Europe, la Fortezza Europa.
A fornire le cifre della strage silenziosa che si consuma quotidianamente in mare, nei porti, sulle autostrade, la comunità di Sant’Egidio, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato. Quattiordicimilasettecentottantotto, specificano, sono le vittime note. Ci sono poi i naufragi di cui nessuno ha avuto notizia. Gruppi di migranti partiti dalle coste libiche e algerine e mai arrivati sulle coste italiane, spagnole, greche.
Spesso, infatti, i trafficanti fanno partire i barconi pieni di migranti con poca benzina, senza nua mappa e con poca acqua a bordo, prevedendo che quale motovedetta dell’agenzia europea per il monitoraggio dei confini, Frontex, intercetti i naufraghi. Il resto è affidato alla sorte.
Alcuni operatori dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), quando andai a Lampedusa mi raccontarono che accade spesso di ricevere in piena notte telefonate di aiuto di migranti dispersi con la barca in mezzo al mare. I numeri di telefono italiani vengono forniti dai trafficanti alla partenza. E se la Capitaneria di Porto o la Marina militare non riescono a intercettare le imbarcazioni, gli stenti faranno il resto. Una morte atroce.
Una sorte molto simile la patiscono quanti tentano di raggiungere la Fortezza Europa via terra. Legati sotto i camion o nascosti tra i carchi di merce, sono per lo più migranti provenienti dall’Asia e da Paesi in guerra come l’Afghanistan. Non di rado le cronache raccontano di giovani travolti lungo l’autostrada: una cinghia si rompe e finiscono investiti dal tir sotto al quale viaggiano.
Due giorni fa, durante una celebrazione ecumenica in Santa Maria in Trastevere, a Roma, in occasione della giornata mondiale del Rifugiato, sono stati letti i nomi di alcune delle vittime. Persone anonime, morte nella speranza di raggiungere un futuro migliore. Storie che mai resteranno negli annali dell’Europa ma che vale la pena qui riportare e ricordare. Ci sono cinesi, somali, afgani, boliviani, pakistani, curdi, iracheni, etiopi ed eritrei, palestinesi, indiani, algerini, nigeriani, sudanesi, kosovari, marocchini e tanti altri, spesso provenienti da Paesi in guerra tra loro ma uniti dall’unica sorte che li ha visti morire per raggiungere l’Europa.
Yahya, curdo iracheno di 31 anni, annegato insieme ad altri 18 iracheni vicino alle coste della Grecia il 4 gennaio 2010
Mustafa e Hüsnü, giovani curdi dalla Turchia, i cui corpi sono stati ritrovati dalla guardia costiera il 13 agosto 2009 vicino alle coste dell’isola di Kos, in Grecia
Arif e Tayeb, con altri 16 connazionali dal Pakistan, morti asfissiati in un camion proveniente da Istanbul e diretto in Gran Bretagna il 5 ottobre 2008
Jashim, Harun e Mounir, cittadini del Bangladesh, annegati con altre 146 persone nel Mediterraneo vicino alla Tunisia il 7 giugno 2008
Estela e Marta, con altri 3 boliviani, uccisi alla frontiera da un treno mentre attraversavano un passaggio a livello in Spagna, nel 2004
Amal, giovane donna palestinese morta con altri 3 connazionali in un naufragio nelle acque turche, il 6 dicembre 2008
Li, Huang, Xiao, con altri 9 cinesi, annegati nel mare vicino a Ragusa nel marzo 2005.
Baj Singh, indiano di 33 anni, schiacciato dalle ruote del camion sotto il quale era nascosto in Gran Bretagna nel settembre 2008
Farax, Sahra, Yurub, Nura, Ahmed, Daad, Mulac e altri 29 somali dispersi nel mare tra presso le coste italiane dopo la partenza in barca dalla Libia il 16 settembre 2009.
Patricia, Ruth, Jonathan, nigeriani, insieme a Robert e Jules, e altri 23 africani di varie nazionalità morti davanti alle isole Perejil vicino alle coste marocchine il 19 settembre 2009
Mobrahtu, Solomon, Abeba, Dawit, Daniel, Biniam, Natanael, Teklab, Hagos, Bereket, e altri 62 eritrei annegati vicino alle coste di Lampedusa dopo 23 giorni di navigazione il 20 agosto 2009
Omar, Daud e altri 10 algerini annegati al largo di Annaba mentre si dirigevano in barca verso la Sardegna il 6 agosto del 2009
Bakheet, 22 anni, sudanese, con altri 30 etiopici ed eritrei che nell’ultimo anno sono stati uccisi al confine tra Egitto e Israele mentre tentavano di passare la frontiera.
Said, Mohammed e altri 14 marocchini, affondati al largo di Mostaganem lungo la rotta per la Spagna il 13 dicembre 2009
Sarah, Faduma, il piccolo Mamadou, e altri 7 uomini da vari paesi dell’Africa Subsahariana, annegati per la collisione della loro imbarcazione contro le rocce di Barbate, in Spagna, il 29 giugno 2009
Artan, Valbona, il piccolo Andi, con altri 13 kosovari annegati nel fiume Tisza, al confine tra la Serbia e l’Ungheria il 15 ottobre 2009
Youssef, Aziz, Saad, con altri 3 egiziani, abbandonati in mare da una barca che stava naufragando nel mare di Sicilia vicino alla costa di Gela il 7 ottobre 2009.
Negli ultimi 10 anni sono 6182 i morti, la cui nazionalità è ignota, nel tentativo di raggiungere il continente europeo, e altri 8605 di cui è nota almeno la nazionalità.
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è un genocidio. l'europa ha sulla coscienza tanti genocidi questo non è che l'ultimo.e noi siamo corresponsabili della morte di migliaia di uomini e donne ,con la nostra indifferenza ed il nostro cinismo.
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