Gli inglesi all'appuntamento con la storia: verso la fine del sistema Westminster? - Diritto di critica
Oggi i sudditi di Elisabetta II saranno chiamati a scegliere il successore di Gordon Brown al numero 10 di Downing Street. I candidati, oltre a Brown stesso, per il Partito Laburista, sono David Cameron per il Partito Conservatore e Nick Clegg per i liberaldemocratici.
Si tratta di un’elezione che fino a pochi mesi fa aveva un esito scontato (la vittoria della destra), ma che grazie ad un trascinante Clegg ha oggi un esito molto incerto. Se infatti è abbastanza sicuro che saranno i Tories ad avere la maggioranza, non vi è sicurezza sull’entità della vittoria di Cameron: il sistema Westminster, infatti, da decenni si poggia sull’alternanza fra laburisti e conservatori, che a turno riuscivano a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi e quindi un governo stabile. Ma stavolta si è fatto avanti un terzo incomodo, Clegg, per l’appunto, che per alcuni sondaggi è addirittura al secondo posto, mentre il first lord of the Treasury in carica sprofonda al terzo.
I motivi di questa situazione “rivoluzionaria” stanno tutti nella debolezza del partito laburista, il New Labour creato da Tony Blair oltre un decennio addietro. E visti i progressi che questo partito ha fatto fare alla Gran Bretagna, una sconfitta del genere appare, ad un primo sguardo, inspiegabile.
Come scriveva qualche giorno fa John Arlidge su The Times, il Partito Laburista può avocare a sé numerosi successi. Prima Blair e poi Brown, infatti, hanno speso grandi somme di denaro pubblico per migliorare i servizi per i cittadini, sia direttamente (come nella sanità) che indirettamente (con tagli delle tasse per i meno abbienti), e questo ha portato ad altre grandi vittorie, come l’enorme aumento di giovani che si sono iscritti all’università. Secondo un sondaggio citato da Arlidge, un inglese su due è convinto che le cose dal 1997 a oggi siano migliorate. Ma allora com’è possibile che Brown sia in tale difficoltà?
Uno dei problemi è certamente l’economia: come molti governi laburisti in passato, anche questo, ingrandendo la macchina statale, l’ha appesantita, e non ha sfruttato il boom economico per consolidare il bilancio statale. Brown, insomma, sperava che il Regno Unito continuasse a crescere, ma il sogno si è infranto contro la crisi economica. Questo ha una conseguenza molto importante, e gli inglesi ne sono ben consapevoli: il prossimo primo ministro taglierà un po’ ovunque e la colpa sarà di quello che è venuto prima, che ha speso troppo, e che per questo va punito. Inoltre, grazie al boom economico degli anni passati, nonostante il più diffuso benessere, la forbice fra ricchi e poveri si è allargata. Come in altri Paesi europei, fra cui l’Italia, insomma, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri, relativamente, più poveri.
In secondo luogo, il Partito Laburista, oltre che ad avere fama di spendaccione, ha oggi anche quella di sprecone. La colpa (o il merito) va ad Heather Brooke, una persona comune, come il nostrano Beppe Grillo per intenderci, che ha chiesto, si è battuta e ha ottenuto una legge che rendesse trasparenti le spese dei parlamentari. E quando ciò è avvenuto, il Labour ne è uscito con le ossa rotte (si pensino ai vari scandali di contributi non pagati alle colf fino a film porno pagati con i soldi dei contribuenti di cui abbiamo sentito negli ultimi mesi).
Questi due motivi sono stati ben suonati dagli sfidanti negli ultimi mesi di campagna elettorale, com’è giusto che sia, visto che i laburisti sono al governo. E ciò pare bastare per far dimenticare i molti meriti della sinistra inglese dell’ultimo decennio.
Per questo Cameron sembrava prossimo alla vittoria. Fin quando non è spuntato Clegg che con il suo programma laburista-ma-non-troppo, oltre che con il suo carisma, è riuscito a intercettare i delusi laburisti, riuscendo a diventare un ostacolo insidioso per il prossimo governo.
Se infatti Cameron non riuscirà a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi o quasi (entrerebbe in coalizione con altri partitini) sarà necessario coalizzarsi, una soluzione abbastanza inedita per gli inglesi. E l’ago della bilancia sarà inevitabilmente Clegg.
Ma la strada non è semplice: è vero che il programma dei laburisti ha non poco in comune rispetto a quello dei liberaldemocratici, ma è pur vero che difficilmente Clegg vorrà appoggiare Brown, specialmente se (ma è un caso abbastanza remoto, a causa del sistema elettorale inglese) Brown dovesse finire terzo. In tal caso, l’ipotesi più probabile sarebbe un premier laburista diverso da Brown che assicuri la riforma del sistema elettorale, perché è lì che Clegg vuole arrivare.
In Gran Bretagna, infatti, è in vigore un sistema maggioritario, il first-past-the-post, o plurality, per il quale vince chi prende più voti in una determinata circoscrizione, senza ballottaggio, anche se non prende il 50%+1 dei voti. È un sistema molto amato dagli inglesi, che hanno la possibilità di sapere chi li rappresenta (e quindi di chi sarà la colpa se le cose vanno male), ma anche di incontrare, settimanalmente, il proprio deputato (compreso il primo ministro, ma una volta al mese). Questo è un vero handicap per il partito di Clegg, diffuso nel territorio, ma non forte come i due partiti principali (in altre parole, anche avendo più voti su base nazionale, c’è una buona probabilità che riceva meno seggi alla Camera dei Comuni). Questo taglierebbe le gambe ad un eventuale coalizione con Cameron (contrarissimo al proporzionale proposto da Clegg), mentre Brown si è mostrato un po’ più aperto, magari non al proporzionale, ma affiancando il maggioritario a turno unico con la possibilità di esprimere preferenze. (Non è scopo di questo articolo parlare dei possibili risvolti del sistema elettorale inglese, chi avesse interesse ad approfondire può leggere ciò che ho scritto qualche giorno fa).
Forse mai come questa volta, tutto è nelle mani degli indecisi, che secondo i sondaggi, sono ancora una grossa fetta dell’elettorato. La partita inglese avrà conseguenze fondamentali anche per l’Europa: una vittoria di Cameron, infatti, allontanerebbe la sterlina dall’Euro, e probabilmente anche lo stretto della Manica diventerà più largo. I conservatori, infatti, non sono esattamente degli entusiasti europeisti, e questo, di conseguenza, indebolirebbe l’Unione Europea, che già non versa in ottime condizioni, come abbiamo visto nella non ancora conclusa tragedia [economica] greca.
Ma anche un Parlamento bloccato (ovvero senza una maggioranza stabile) avrebbe conseguenze simili anche oltre i confini dell’Isola. La Gran Bretagna è davvero ad una svolta fondamentale, e anche qui sul continente ne sentiremo le conseguenze.
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Credo di parlare a nome di milioni di italiani quando dico che, a costo di auto tassarci, saremmo in tanti a voler un governo che assomigli lontanamente a quello inglese.
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