Berlusconi e le intercettazioni degli altri - Diritto di critica
«Abbiamo questo record: siamo l’unico paese dell’Occidente in cui non solo si intercetta il presidente del Consiglio ma si danno le intercettazioni ai giornali, guarda caso i giornali della sinistra». Questa è una frase pronunciata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il 18 marzo scorso a Napoli. Concetto ribadito in una telefonata a Uno Mattina pochi giorni dopo : «Esiste al mondo un altro paese, che non siano gli Stati di polizia o le dittature, in cui un cittadino non possa parlare liberamente, anche di cose private, senza veder intercettate e sbattute sui giornali le sue parole, distorcendole e utilizzandole per screditarlo, per renderlo ridicolo? Cambieremo questa situazione, al più presto. E’ urgente e indispensabile». Tutti temi tornati alla ribalta dopo che il Fatto Quotidiano ha raccontato l’indagine di Trani con le telefonate dello stesso Berlusconi all’Agcom e al direttore del Tg1.
Un problema che invece sembrerebbe non sussistere quando la persona intercettata è un avversario politico. Questa storia ci arriva da Roberto Raffaelli, l’ex amministratore dell’azienda di intercettazioni telefoniche “Rcs-Research control system” che racconta del suo incontro nella mattina della vigilia di Natale del 2005 con Silvio Berlusconi nella residenza di Arcore. Raffaelli con l’aiuto del computer avrebbe fatto ascoltare al Cavaliere le intercettazioni effettuate nel luglio precedente all’allora leader dei Ds, Piero Fassino al telefono con Consorte mentre pronunciava la famosa frase «Allora, abbiamo una banca?». Sempre secondo l’intercettatore il premier dopo l’ascolto si desto dal torpore mattutino pronunciando questa frase: «La famiglia ve ne sarà grata per l’eternità». Intercettazioni che vennero spedite dagli stessi personaggi coinvolti con un pacchetto anonimo al quotidiano “Il Giornale” ( Famiglia Berlusconi), che le pubblicò 7 giorni dopo.
Una notizia che ha scatenato l’ovvia reazione dell’opposizione attraverso le parole del segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani:
«Il rapporto col telefono del presidente del Consiglio e’ un po’ problematico. Siccome le regole vengono prima del consenso e non viceversa, anche col 99,9% di consenso in un sistema costituzionale lui non può telefonare ad un’autorità di garanzia. Non può. Gli dispiacciono le telefonate legalmente intercettate ma evidentemente a più passione per quelle intercettate illegalmente. Se fosse vero quello che e’ stato detto, l’autorità giudiziaria dovrà dare un occhio a questa cosa e cioè che in quel caso si e’ verificato un circuito familiare politico-mediatico, i giornali di famiglia, gli amici che intercettano e il presidente del consiglio capo politico che prepara l’agguato… io penso che se siamo in un paese ancora minimamente normale, saremmo di fronte al caso di un rilievo enorme. Lascio solo immaginare se una cosa del genere capitasse ad esempio negli Usa. Adesso vediamo se l’autorità giudiziaria vorrà dire qualcosa».
Parole ancora più pesanti quelle pronunciate dal capogruppo dell’Italia dei Valori in Commissione Giustizia al Senato, Luigi Li Gotti:
«Sono i soliti due pesi e due misure di Berlusconi: quando si tratta di nascondere verità scomode, allora le intercettazioni danno fastidio e vanno abolite per legge mentre la privacy va tutelata costi quel che costi; quando prova a gettar fango sui suoi avversari politici, allora le intercettazioni sono addirittura acquisite privatamente e la privacy del malcapitato antagonista conta meno del due di briscola…e’ ormai ora che il premier e gli uomini del popolo della libertà si mettano in testa che libertà non significa fare quel che pare loro, ma significa seguire regole giuridiche ed etico-morali che consentano a tutti i cittadini, indistintamente, di vivere in modo sereno».
Un altro commetto è arrivato dal senatore Pd Paolo Giaretta che davanti alla ricostruzione di Raffaelli ha detto che «ormai anche i piu’ scettici avranno fugato ogni dubbio. Silvio Berlusconi usa tutti i mezzi per i propri fini. Intercettazioni illegali e private comprese . Nel pieno della sua campagna contro le intercettazioni legali acquisite e usate dalla magistratura per la lotta alla criminalità organizzata emerge che il presidente Berlusconi non ha avuto scrupoli a utilizzare intercettazioni illegali e private contro Piero Fassino, all’epoca dei fatti segretario del maggior partito avverso e con con il solo scopo di gettar fango e discredito, attraverso il quotidiano della sua famiglia, sugli avversari politici. A questo punto chiediamo al premier lumi su cosa intende quando parla di regolare l’uso delle intercettazioni. Vuole forse proibire quelle legali necessarie alla lotta alla mafia e permettere, a suo uso e consumo, quelle attualmente illegali per sconfiggere gli avversari politici?». Il diretto interessato, Piero Fassino è convinto invece che «adesso risulti evidente a tutti che la pubblicazione da parte de Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, della mia telefonata con Consorte e’ stato lo strumento di un vero e proprio agguato, di cui – a quanto risulterebbe da dichiarazioni delle persone indagate dalla procura di Milano – sarebbe stato del tutto a conoscenza il presidente del Consiglio. Spetterà ai magistrati inquirenti accertare definitivamente i fatti e le responsabilità» e commentando le dichiarazioni di Berlusconi sulle intercettazioni si chiede «se i fatti fossero confermati, esiste un altro Paese democratico al mondo in cui il capo del governo riceva nella sua residenza privata persone incaricate di delicate attività per conto dello Stato? E da loro abbia informazioni, riservate alla sola autorità giudiziaria, che pochi giorni dopo vengono pubblicate illegalmente dal quotidiano di proprietà dello stesso capo del governo, scatenando per mesi una campagna di discredito politico e personale contro contro il segretario del principale partito avversario?».
Parole completamente diverse quelle dell’avvocato del premier Niccolò Ghedini: «Le notizie apparse quest’oggi sulla Repubblica (la ricostruzione di Raffaelli n.d.r.), con la consueta tecnica della violazione del segreto d’indagine, sono in punto di fatto destituite di ogni fondamento e l’unica cosa certa e’ soltanto la telefonata intercorsa tra Consorte e Fassino».
Come raccontavamo ieri le intercettazioni, oltre ad essere uno strumento importate per garantire il funzionamento della giustizia, sono tra le pochissime cose che mostrano limpidamente all’opinione pubblica la vera faccia della nostra classe politica. Un’opinione pubblica che oramai fa fatica a scandalizzarsi può veramente farne a meno?
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