Niente cannoli per Cuffaro: condannato a 7 anni per le talpe alla Dda - Diritto di critica
Niente cannoli questa volta. Totò Cuffaro, ex governatore della regione Sicilia, senatore dell’Udc e membro del consiglio di amministrazione della Rai, è stato condannato dalla Corte d’Appello di Palermo a sette anni, nell’ambito del processo sulle talpe alla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. I giudici hanno riconosciuto dunque l’aggravante del favoreggiamento a Cosa Nostra, escluso in un primo momento dalla Procura e motivo dei cannoli festaioli a tutti noti.
La sentenza è giunta dopo 25 ore di Camera di Consiglio. Nei confronti di Totò Cuffaro, Giorgio Riolo e Michele Aiello, il manager delle cliniche Atm e Villa Santa Teresa di Bagheria, i giudici hanno accolto l’appello presentato dai pm di primo grado, Giuseppe Pignatone, Maurizio de Lucia e Michele Prestipino e sostenuto nel processo di secondo grado dai pg Daniela Giglio ed Enza Sabatino.
Nei confronti dell’ex presidente della Regione siciliana scatta l’aggravante per il cosiddetto “episodio Guttadauro”: l’attuale senatore dell’Udc avrebbe messo il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro in condizione di scoprire una microspia nel salotto di casa e questo è un fatto che, secondo l’accusa e secondo la terza sezione della Corte D’Appello, presieduta da Giancarlo Trizzino, a latere il relatore Ignazio Pardo e Gaetano La Barbera, ha favorito l’intera associazione mafiosa. Per il resto la sentenza e’ stata confermata del tutto.
Per l’ex maresciallo del Ros Riolo la condanna parla di concorso esterno e non piu’ il favoreggiamento aggravato, la pena è stata così aumentata di un anno rispetto al primo grado, da 7 a 8 anni.
Per Aiello, l’ex re della sanita’ privata, accusato di essere il regista della rete di informatori che otteneva le informazioni investigative antimafia, la pena è passata da 14 a 15 anni e 7 mesi. Aiello e’ stato condannato pure alla rifusione delle spese processuali al Comune di Bagheria e alla Azienda sanitaria provinciale che si era costituita parte civile contro di lui.
L’INCHIESTA (fonte: AGI)
Nata come una ‘normale’ indagine su mafia ed estorsioni, l’inchiesta per le ‘talpe’ alla Dda , durata anni, si è estesa a pezzi di politica ed imprenditoria ed è stata anche la causa di profonde lacerazioni nella Procura di Palermo. L’indagine originariamente si chiamava “Ghiaccio” e doveva partire dall’ “osservazione” di un boss come Giuseppe Guttadauro. Condannato al processo ‘Golden Market’ come reggente della famiglia di Roccella, Guttadauro, medico chirurgo all’ospedale Civico di Palermo, era in carcere nell’estate del 1999, quando i carabinieri del Ros piazzarono otto microspie in casa ancora vuota. Una scelta fatta per sfruttare l’effetto sorpresa, perché mai il boss si sarebbe aspettato di essere monitorato con tanto anticipo. A collocare le ‘cimici’ fu un maresciallo abilissimo in questo tipo di lavori: Giorgio Riolo.
Alla fine del 2000, dunque oltre un anno dopo, Guttadauro fu scarcerato in anticipo, per buona condotta e temendo nuove indagini ‘blindo” il suo appartamento di via De Cosmi, nel centro di Palermo, e decise che lui o uno dei suoi familiari, la moglie Gisella Greco e il figlio Francesco, avrebbero sempre dovuto restare in casa per evitare “sorprese”. Ma le sorprese, cioe’ le ‘cimici’, gia’ c’erano e permisero ai carabinieri di ascoltare le riunioni con altri mafiosi. Guttadauro diventato capo del mandamento mafioso di Brancaccio,oltre a organizzare estorsioni a partire da febbraio del 2001, riceveva in casa due suoi ex allievi medici della terza divisione di Chirurgia del Civico: Domenico “Mimmo” Miceli e Salvatore “Salvo” Aragona. Il primo faceva allora politica attiva nel Cdu, il secondo era stato gia’ condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo avere operato il latitante Enzo Salvatore Brusca, fratello di Giovanni, allo scopo di evitargli una condanna per omicidio. Con loro, Guttadauro parlava di politica, di candidature, di affari relativi a un centro commerciale da realizzare su un terreno della moglie del boss, di concorsi per medici e per posti di primario, ma pure di carcere duro e di ergastolo, che il capomafia voleva aboliti. Si parla pure, ripetutamente, di Salvatore Cuffaro, all’epoca in procinto di candidarsi come presidente della Regione. Guttadauro cercava un contatto con lui, e Miceli, aspirante deputato regionale, aveva accettato, assieme ad Aragona, secondo l’accusa, di fare da intermediario tra il candidato governatore e il boss. Gli ascolti a casa Guttadauro cessarono improvvisamente il 15 giugno 2001: tre giorni prima, Aragona era andato a casa del capomafia da solo e lo aveva messo in guardia da intercettazioni telefoniche che sarebbero state fatte tra lo stesso Guttadauro e Miceli. “A lui – specifico’ Aragona – glielo ha detto Toto'”. Che per gli inquirenti sarebbe Cuffaro.
Tre giorni dopo il boss trovò una microspia collocata nell’abat-jour del salotto e la distrusse. Miceli, nelle elezioni che si tennero pochi giorni dopo, il 24 giugno, non ottenne l’ambito seggio all’Ars, ma ce la fece un outsider: un carabiniere col pallino della politica, il maresciallo Antonio Borzacchelli, candidato nel Biancofiore, una lista satellite del Cdu di Cuffaro. In gran segreto, intanto, il Ros e la Procura cercavano di capire l’origine della fuga di notizie: ci sono sospetti, su Miceli, su “Toto'”, ma non prove. Due anni dopo, il 26 giugno 2003, sulla base delle intercettazioni e degli sviluppi delle indagini, vennero arrestati per mafia Miceli, Aragona e Vincenzo Greco, cognato di Guttadauro. Cuffaro fu raggiunto da un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Il 5 novembre 2003 scoppio’ lo scandalo delle talpe in Procura, con gli arresti di dell’imprenditore Michele Aiello, titolare di importanti cliniche a Bagheria, la Diagnostica Villa Santa Teresa e l’Atm (Alte tecnologie medicali), e di due marescialli, uno della Dia, Giuseppe Ciuro, l’altro del Ros, Giorgio Riolo, proprio l’uomo che aveva piazzato la microspia a casa Guttadauro. Sara’ lui, dopo una serie di interrogatori, ad ammettere di avere rivelato ad Antonio Borzacchelli la presenza della ‘cimice’ nell’abat-jour, e a consentire alla Procura di scoprire il presunto passaggio a catena della notizia segreta: da Riolo a Borzacchelli, da questi a Cuffaro e dal candidato presidente a Miceli, che a sua volta lo avrebbe detto ad Aragona, poi andato da Guttadauro.
Non è la sola fuga di notizie dell’inchiesta Talpe ad essere attribuita a Cuffaro: l‘indagine,ha consente anche di scoprire che il presidente avrebbe informato Aiello, tra il 20 e il 31 ottobre 2003, che i suoi informatori, Ciuro e Riolo, erano stati smascherati. Cuffaro, con modalità ritenute sospette dagli inquirenti (telefonate criptiche, convocazioni alla presidenza della Regione di un collaboratore di Aiello, Roberto Rotondo, una “fuga” per evitare di uscire con la scorta), fissò un appuntamento e incontrò l’imprenditore nel negozio di abbigliamenti Bertini di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo. La fonte della notizia stavolta non sarebbe stato Borzacchelli, ma una misteriosa ‘talpa’ romana, mai individuata.
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Se passa il processo breve anche lui, Cuffaro, rischia di uscire assolto nonostante 2 condanno in 1 e 2 grado
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