Rottamatori e rottamati: nel Pdl, è lotta per la sopravvivenza - Diritto di critica
C’è aria di spaccatura nel Pdl. Da una parte Silvio Berlusconi con Angelino Alfano e la vecchia politica. Dall’altra i giovani, capitanati da Giorgia Meloni. Due mondi incompatibili, che ieri sera, all’ombra del Colosseo, sono venuti a contatto nell’ambito della manifestazine “Ripartire da Zero”. Sul palco, a parlare della rinascita di quello che ancora (per poco?) si chiamerà Popolo della Libertà, c’erano appunto Angelino Alfano, attuale segretario del partito, e Giorgia Meloni. Al centro della discussione, diplomatica ma sicuramente forte e su posizioni differenti, due temi fondamentali: le primarie e la riforma elettorale.
«Le primarie sono uno strumento necessario a tutti i livelli, ma è chiaro che nel momento in cui c’è la candidatura di Berlusconi a Presidente del Consiglio, allora si possono serenamente evitare». La pensa così Angelino Alfano ed è difficile vedere “rinnovamento” in queste parole, visto il ruolo che Alfano ricopre: per molti, in questi mesi, è stato solo una pedina nelle mani di Berlusconi che, bisognoso di far dimenticare per un po’ la sua faccia, lo ha promosso alla segreteria del partito nel momento il cui il partito godeva del minor consenso popolare (e istituzionale). Ma, tant’è, oggi che Berlusconi si appresta a scendere di nuovo in campo e a ritornare a Forza Italia, Alfano è indubbiamente la voce politica più autorevole a sostenere la linea del Cavaliere. Sembra quindi ci sia poco spazio per la “rottamazione” portata avanti, a gran voce e con un ottimo consenso in platea, da Giorgia Meloni: «Se fossi Silvio Berlusconi, pretenderei di candidarmi attraverso una legittimazione dal basso. C’è poi un problema di simmetria: il Partito democratico celebrerà le primarie e noi non possiamo fare la figura di quelli che non accettano il confronto con la base». Decisa, sicura, forte degli applausi, la Meloni segna la spaccatura con il Segretario di partito.
Più volte, la “rottamatrice” Giorgia è tornata su un punto a lei molto caro: quello del “partito sul territorio”. «nel 2008 il Pdl aveva il 38% dei consensi e dobbiamo tornare a quei livello. Quello che nel partito non ha funzionato è stato il modo in cui noi abbiamo realizzato la nostra idea di partito: non abbiamo mai fatto campagna sul territorio e abbiamo guardato torvo chi la faceva. E invece dobbiamo tornare lì, sul campo, stare tra la gente: la sfida di chi fa politica è convincere chi non la pensa come noi!». Un appello che riscuote successo anche tra i giovani del Pdl, come il Presidente di Giovane Italia Marco Perissa, il quale ribadisce: «le leadership hanno bisogno di una legittimazioae popolare perché il rapporto con il popolo si è incrinato». Quindi, anche dal basso, c’è la percezione, forte, che il Pdl debba stare tra la gente. Il che ricorda un po’ la lezione leghista che, nonostante gli scandali delle ultime settimane, continua a esercitare un forte fascino tra partiti vecchi e non-partiti “nuovi” (Grillo e la sua democrazia dal basso).
E di questa ripartenza dal basso, che ne pensano ai vertici del partito? Per Alfano, il Pdl deve «far arrivare in Parlamento chi ha i voti, cioè chi ha il consenso popolare». Ed ecco che allora, e stavolta c’è convergenza di opinione tra i due, Alfano e Meloni propongono la riforma elettorale: «il Pdl – assicura il segretario – è 100% democrazia, ecco perché vogliamo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Sono i cittadini che devono eleggerlo, perché siamo convinti che sia più saggia la scelta di 60 milioni di italiani, piuttosto che quella di sei segretari di partito». Gli fa eco la Meloni: «questo è il tempo dell’antipolitica e l’unica risposta possibile è tornare a fidarsi del popolo. Ecco perché – avverte ancora l’ex Ministro – è importante la difesa del bipolarismo: ci deve essere la possibilità di scrivere il nome del parlamentare e di introdurre le preferenze».
Insomma, nel Partito c’è grande fermento, almeno alla base. Peccato che lo stesso fermento non si riscontri ai vertici: chissà se Berlusconi ed Alfano avranno voglia di cedere il passo ai “rottamatori” capeggiati dalla Meloni o se, simboli inestinguibili di una vecchia politica attaccata al potere, decideranno di ignorare i malumori popolari per indicare di nuovo la strada.